Pizzo alle imprese edili | Il pentito svela il "tariffario" - Live Sicilia

Pizzo alle imprese edili | Il pentito svela il “tariffario”

Il pentito Sergio Flamia

Non ci sono più i grandi appalti e i mafiosi si concentrano sulle costruzioni private. Parola di Sergio Flamia, il pentito che ha raccontato i segreti della mafia di Palermo e Bagheria.

MAFIA DI BAGHERIA - LE DICHIARAZIONI
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PALERMO – Il tariffario delle estorsioni. Nonostante la crisi del mattone. Nonostante si costruisca sempre meno la regola del pizzo vale sempre e comunque. Non ci sono più i grandi appalti e i mafiosi si concentrano sulle costruzioni private. Parola di Sergio Flamia, il pentito che ha raccontato i segreti della mafia di Palermo e Bagheria.

Alcuni dei segreti sono noti perché sono già serviti per fortificare le accuse della Procura sfociate nei blitz delle forze dell’ordine. Molti altri sono noti ai soli magistrati che hanno delegato i riscontri a poliziotti e carabinieri. Uno dei capitoli ancora aperti è quello che riguarda il pizzo.

Flamia si attribuisce il ruolo di coordinatore degli incontri “per la messa a posto di un lavoro… io mi limitavo a fissare gli appuntamenti; gli facevo fissare gli appuntamenti, s’incontrarono… due o tre volte a Bagheria li ho fatti incontrare, però io poi… me ne andavo perché non… per non essere di troppo…”. Non assisteva alla discussione, ma conosce i nomi di chi vi partecipava. E conosce anche le dinamiche del pizzo: “L’impresario, il titolare… è disposto a mettersi a posto, poi si ci reca – chi di dovere, il mafioso della zona o l’amico mafioso – dicendogli guarda il lavoro…”.

Il tariffario è rigido: “.. se è un lavoro pubblico è il 3% dell’importo del lavoro… (una tariffa che ormai fa parte della letteratura di Cosa nostra ndr)”. “E se sono costruzioni private?”, gli chiede il pubblico ministero Alessandro Picchi. Risposta: “… dipende… dagli appartamenti si parte da 2.000, 2.500 a 1.500, dipende poi le zone, dipende il momento di vendita, che c’è, che non c’è; con le villette si parte dai 5.000 euro a villetta e si ferma a 2.500, 3.000. Varia sempre…”.

Chiusa la trattativa preliminare, condita dalle intimidazioni non sempre necessarie, si va all’incasso: “… io per messa a posto di una ditta posso mandare pure una persona a me vicina che conosce l’impresa…’senti, vedi se è disposto a mettersi a posto’, se ha bisogno che gli diamo una mano…’, la scusa è sempre questa, se gli diamo una mano…”. “E come avviene? In contanti oppure c’è anche qualche fatturazione mascherata?”; “No… la fatturazione avviene quando ci sono, quando la cifra già è un po’ più consistente…”. I mafiosi, anche questa è ormai tradizione, sono in grado di procurarsi delle fatture di comodo e il pizzo diventa uno dei tanti costi ufficiali dell’imprenditore.

Sono dichiarazioni che vanno incrociate con quelle di un altro collaboratore di giustizia del bagherese. Tra le prime cose messe a verbale da Antonino Zarcone c’era, infatti, una frase secca che apriva, però, enormi squarci investigativi: “Ci sono cento fatti delittuosi su cui la Procura non sapeva niente prima”. La maggior parte dei “cento fatti delittuosi” riguarda proprio casi di estorsione.


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