17 Gennaio 2024, 07:09
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Avevamo creduto che il PNRR servisse a ridurre i divari. E avevamo creduto che si chiamasse Next Generation proprio perché guardava alla nuove generazioni, a costruire un Paese dove i giovani avessero l’opportunità di crescere ed affermare i loro talenti. Mentre eravamo chiusi nelle case durante il lockdown queste prospettive ci hanno tenuto in vita. E ci rassicurava sapere che questi propositi li difendeva in Europa un uomo come David Sassoli, costruttore di speranza e che poi fossero posti in essere da un uomo che ben conosceva gli uffici di Bruxelles e poteva affrontare con competenza e credibilità i confronti con le istituzioni europee come Mario Draghi.
Sono passati quasi 4 anni e ci troviamo invece a fare i conti con divari aumentati, ma anche – ed è ancora più preoccupante – con il silenzio e l’indifferenza davanti a questo. Ma anche con una narrazione che racconta un’altra storia. Il PNRR aveva nella sua genesi un caposaldo: ridurre i divari territoriali (tra le economie del Nord e le economie del Sud), generazionali (favorendo la formazione dei giovani e la loro immissione nel mercato del lavoro) e di genere (favorendo la parità contributiva e di accesso al mercato del lavoro).
Dopo 3 anni dall’avvio del Programma tutti e tre i divari sono aumentati. Eppure erano stati la motivazione per la quale all’Italia era toccata la dotazione più alta in assoluto: perché gravata dai maggiori divari interni che disegnavano un’Italia a due velocità, una delle quali non ce l’avrebbe fatta ad affrontare la ripresa post-pandemica. Ma adesso sembra non ricordarsene nessuno. Era scritto nelle primissime righe dell’Accordo sancito con l’Europa. Ed è il senso di quel “prestito” che costituisce il fondamento del PNRR: sono risorse anticipate dall’Europa per costruire le condizioni per aumentare la capacità del Paese di produrre sviluppo e restituire le somme all’Europa, interessi compresi. Non quello di accumulare debito da lasciare in eredità alle future generazioni.
Era il primo passo di un’Europa che passava dalla rigidità del Patto di stabilità, a concedere fiducia agli Stati membri ed ‘allargare’ i cordoni della borsa, a patto però che gli Stati membri facciano le riforme necessarie a creare le condizioni per lo sviluppo. Per questo nel chiudere l’Accordo era stato chiesto all’Italia di presentare annualmente una relazione che certificasse il rispetto di queste condizionalità, ed in particolare della clausola che destina al Mezzogiorno almeno il 40% dei finanziamenti.
Eppure di questo computo nella relazione presentata dal Governo non vi è traccia. E nemmeno nella richiesta di revisione. Altrimenti avrebbe dovuto mettere ‘nero su bianco’ che con la prima scure caduta sul PNRR a fine luglio sono stati tagliati 15,9 miliardi, dei quali 7,6 fanno riferimento a progetti destinati ad infrastrutture per il Sud, dalle ferrovie siciliane all’Ilva di Taranto, all’edilizia scolastica, agli ospedali di comunità. Tutte opere che sono state tolte dal programma. Tolte alle nuove generazioni.
Così come nella conferenza stampa di inizio anno della Presidente Meloni, dove la parola Mezzogiorno non è mai stata pronunciata. Forse per dare spazio al dibattito su influencer e pandori. Con il quale però non si recuperano i divari, né di genere, né generazionali, né territoriali. Né si attua la Next Generation Ue.
*l’autrice è responsabile Pnrr del Pd Sicilia
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17 Gennaio 2024, 07:09