Polo logistico, l’analisi: |”Guadagna sempre chi propone”

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25 Gennaio 2016, 18:41

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CATANIA – Un nuovo polo commerciale e logistico nella provincia di Catania. Ancora cemento in un territorio, quello etneo, già provato dall’esistenza di numerose strutture simili, alcune delle quali in sofferenza nonostante gli entusiasmi iniziali. Come svelato da LiveSiciliaCatania, il progetto che incombe nell’area tra i Comuni di Belpasso e Motta Sant’Anastasia, a pochi passi dal fiume Simeto, allarma e fa discutere. Per i risvolti politici, ambientali ed economici. In particolare quest’ultimi, utilizzati sovente per promuovere operazioni di questo tipo, sembrano evidenziare l’assenza di una programmazione a trecentosessanta gradi a supporto del progetto. Ne abbiamo parlato con Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università di Catania.

Un nuovo centro commerciale e logistico nella provincia etnea che già ne conta un numero significativo. Serve davvero un nuovo mega centro?

“Non ho elementi informativi se non quelli che ho appreso leggendo il pezzo di Antonio Condorelli su LiveSicilia, ma si tratta di un polo logistico-commerciale, non semplicemente di un grosso centro commerciale. Quest’ultimo infatti inciderà per circa il 10% dello spazio complessivo di quell’area ed in ogni caso va ad aggiungersi all’offerta di grandi spazi destinati alla distribuzione moderna che già sono ridondanti nel nostro territorio provinciale. Discorso a parte per il polo logistico che invece dovrebbe essere il core business dell’intera operazione, ma non so se esista un business plan che illustri dettagliatamente lo sviluppo dell’intero progetto, non solo la rappresentazione dello stato dell’arte dei lavori di costruzione”.

Che impatto potrà avere sull’economia provinciale e su quella locale?

“Onestamente, mi creda sul serio, in assenza di una adeguata programmazione, parlare di impatto sull’economia non ha senso. Di ogni proposta di investimento su un territorio, la politica dovrebbe essere in grado di valutare tutte le ricadute, non fermandosi solo ai benefici occupazionali, spesso temporanei perchè connessi alle dinamiche del mercato del lavoro, oppure al consistente gettito per le casse comunali proveniente dall’Imu. Di ogni progetto si dovrebbe poter apprezzare la ricaduta sull’indotto economico-imprenditoriale esistente, la capacità di creare nuove imprese sul territorio, il grado di integrazione con le infrastrutture esistenti e con quelle di nuova costruzione, e soprattutto si dovrebbe guardare al fatto se esista un mercato in crescita in cui quel progetto abbia una sua prospettiva di sviluppo o comunque una sostenibilità a medio-lungo termine. Non mi sembra che quest’approccio sia stato seguito fino in fondo, nè per questo nè per altri progetti del genere nel nostro territorio. Di solito, si valutano subito i risvolti occupazionali e quelli inerenti le finanze locali”.

In base alla sua esperienza, chi pensa possa trarre vantaggio da una simile operazione?

“Quando si costruiscono contenitori, a prescindere dalla redditività e dal mercato esistente per i contenuti, a guadagnarci sono quasi sempre quelli che propongono i contenitori. Voglio dire che il rischio che questi investimenti logistico-commerciali si trasformino in operazioni immobiliari è sempre incombente. Ancora una volta è la politica che deve fare la propria parte, all’interno degli strumenti di programmazione urbanistica che vanno raccordati con i piani di sviluppo locale e con le politiche di marketing del territorio. Sembra che l’economia molte volte finisca per prevaricare sulla politica facendo pressing, quando dovrebbe essere invece quest’ultima a svolgere al meglio la sua funzione regolatrice dell’economia attraverso politiche di inclusività, insomma attraverso la concertazione con tutti gli attori istituzionali del territorio”.

Quali, secondo lei, le ricadute negative?

“Non sono in grado di dirlo su due piedi. Potrei dirle che saltano decine di ettari di agrumeto che magari, con capacità manageriali più lungimiranti dei proprietari, avrebbero potuto esser destinate a innovativi format capaci di abbinare agricoltura e turismo, cioè produzioni tipiche e leisure in tutte le sue modalità. Potrei dirle che, se non si valutano tutti i profili di rischio idrogeologico in una zona in cui insiste il fiume Simeto, si potrebbero inseguire in futuro emergenze ambientali che invece si potrebbe prevenire fin d’ora, ma bisogna chiedere agli esperti. Potrei dirle che, se si investe ancora nelle grandi superfici commerciali, gli esercizi di vicinato muoiono, ma potrei pure dirle che il piccolo commercio morirà lo stesso se i piccoli imprenditori non rinnoveranno la propria offerta e rinunceranno a radicarsi meglio nei centri urbani. Potrei dirle che in Sicilia ci sono investitori esterni all’isola seriamente interessati a farla crescere ed altri più allettati dalle enormi dimensioni del mercato interno formato da cinque milioni di consumatori. Potrei parlarle della globalizzazione oppure no. Di una politica che subisce, anzichè governare le questioni. Potrei dirle tante cose, insomma. Quelle che normalmente un docente universitario, spesso vox clamans in deserto, dovrebbe poter dire con grande libertà di pensiero, prima ancora che con facilità di parola”.

E’ vantaggioso, secondo il suo punto di vista, continuare a puntare sul cemento per rilanciare l’economia? Si rilancia davvero?

“Non è questione di cemento o di legno o di acciaio. E’ questione di contenitori e contenuti. Non sono contrario a priori a nuovi investimenti quando essi siano economicamente, socialmente ed ambientalmente sostenibili innanzitutto. Non ho pregiudizi di massima nei confronti di nuovi format capaci di rendere più attrattivi i nostri territori, di stimolare l’interesse di nuovi e seri investitori dall’esterno soprattutto internazionali, e di vivificare turismo ed esportazioni che, insieme all’agricoltura e alla pesca, sono i fattori di vero sviluppo per i settori più tradizionali dell’economia siciliana. Però le dico una cosa. Se è vero che l’economia mondiale va sempre di più nella direzione del terziario avanzato basato sull’innovazione, la conoscenza e la digitalizzazione, è mai possibile che non si voglia investire in grandi contenitori del genere anche nel nostro territorio? Oppure la scelta di Cisco e di Apple di puntare sull’Italia riguarda solo alcune zone e non altre? Significa che da noi allora non ci sono cervelli giovanili? E allora tutto il fenomeno start up lo releghiamo in un angolo? Non ci credo”.

I posti di lavoro che, presumibilmente, verranno creati con la realizzazione del centro commerciale, da soli bastano a giustificarne la realizzazione?

“Per ciò che le ho detto prima, penso di no. Però debbo dirle, con grande onestà, che siccome il momento è critico per l’economia, c’è poca liquidità in giro e ci sono tanti esodati, disoccupati e in cerca di prima occupazione, ogni posto di lavoro in più prospettato con la creazione di un centro commerciale o logistico mette subito tutti d’accordo”.

Non vede il rischio che, come avvenuto già in altri casi, si tratti di pura speculazione?

“Di norma si pensa alla speculazione solo sui mercati finanziari, ma esiste anche nei mercati immobiliari. E i mercati immobiliari non riguardano solo il segmento abitativo, ma anche quello delle superfici destinate alle imprese: centri commerciali, capannoni industriali, spazi per la logistica e la movimentazione delle merci. In questi casi, se le imprese fruitrici degli spazi non riescono a spuntare buoni affari sui mercati finali, e dunque se non ce la fanno a sostenere i costi (di acquisto o anche di affitto) delle superfici, chi ci guadagna subito è chi mette a disposizione gli immobili. Ma alla lunga, se i mercati finali sono in crisi, soffriranno tutti. La crisi che ha investito il comparto della moderna distribuzione dovrebbe aver insegnato qualcosa e comunque far riflettere tutti.”

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25 Gennaio 2016, 18:41

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