13 Giugno 2010, 00:00
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In tempo di mondiali, si può anche non tifare. Anche se si è appassionati di calcio. Non tutti si fanno prendere nelle maglie del tifo collettivo per quegli undici calciatori italiani con la maglia azzurra, che per un mese faranno il loro lavoro in Sudafrica, ciò scenderanno in campo per vincere. C’è Davide Enia, autore, scrittore ed attore palermitano, che in proposito non si lascia prendere da alcun dubbio. E a parlare di pallone con lui, va a finire che il discorso si allarghi al momento che l’Italia, non quella calcistica, sta vivendo.
Alla vigilia dell’esordio col Paraguay, tutto è pronto per tifare sventolando il tricolore?
“No. Io, per esempio, che faccio mio malgrado parte di questo Paese, non tifo per la nazionale”.
Per qual motivo?
“Io ho un tifo uno e trino. Tifo per la difesa della Danimarca, dove gioca Kjaer, per il centrocampo dell’Argentina, c’è Pastore. E per l’attacco dell’Uruguay, con Cavani”.
Quindi, prima di tutto sei un tifoso rosanero.
“Il mio tifo è unicamente indirizzato al Palermo. Soprattutto quando c’è una nazionale che non rispecchia in niente i valori espressi dal campionato. Io ho un grande disinteresse nei confronti di una rappresentativa che gioca male, con degli uomini sbagliati”.
Una squadra, quella guidata da Lippi, che dal punto di vista tecnico non ti piace proprio?
“Manca del tutto la fantasia. Non c’è alcuna apertura alla bellezza. Oltre ai giocatori solidi, che costruiscono la muratura del palazzo, ci vuole quello in grado di disegnare la volta, l’arco. Noi invece abbiamo lasciato a casa Miccoli, ma anche Cassano e Balotelli”.
Di giocatori del Palermo ne erano stati chiamati due, Sirigu e Cassani, nelle prime convocazioni. Poi sono stati rispediti in vacanza dal Ct.
“Se fossero rimasti, allora quello sarebbe stato un motivo di affezione in più. Ma io non sono un allenatore che ha vinto un mondiale, mentre Lippi sì. Il fatto è che in Italia siamo troppo abituati a spalare merda. Dico solo che le squadre che sono arrivate più in alto in campionato non sono state rispettate. E mi riferisco solo a Palermo e Sampdoria. Perché le altre in realtà sono eserciti di stranieri, non sono neanche da prendere in considerazione. In questa contemporaneità il calciatore è solo una merce, e non un valore aggiunto del territorio. Perché la considerazione socio-economica del gioco del calcio è uno dei grandi specchi che riflettono la realtà che stiamo vivendo ”.
C’è stato un tempo in cui tifavi per gli azzurri?
“Sì, certo. Come c’è stato anche un tempo in cui credevo che la politica fosse un impegno che si prendeva nei confronti della cittadinanza. C’è stato anche un tempo in cui credevo che il palermitano non fosse contento di prenderlo nel didietro. Parliamo della stessa cosa. Di una città che è completamente seppellita dall’immondizia, e di una nazionale che è gestita spudoratamente secondo logiche economiche.”.
Da cittadino italiano deluso a tifoso deluso. Il passo sembra breve.
“Le due cose vanno assieme. Si finge di dovere ritrovare una sorta di orgoglio patrio soltanto ogni quattro anni. Però quest’orgoglio viene creato solo in contrapposizione a qualcosa d’altro. Se si gioca contro la Francia, allora tutti a tifare Italia ; se si gioca contro una squadra africana invece si è pronti a diminuire il tono del tifo. Come se con ciò rimediassimo a tutti i cadaveri che abbiamo nel canale di Sicilia”.
Al bando ogni atteggiamento buonista.
“Ognuno è libero di tifare per chi vuole. Bisognerebbe solo superare l’atteggiamento del tifo ‘contro’”.
Anche la politica in questi giorni ha iniziato ad interessarsi di calcio.
“Sono solo manovre per distogliere l’attenzione dalle porcate che stanno facendo. A partire da una legge, quella sulle intercettazioni, totalmente liberticida. Per non parlare poi della scelta della Rai di non trasmettere tutte le partite dei mondiali”.
Infatti, la televisione di stato italiana ha venduto i diritti televisivi dei mondiali a Sky, decidendo di trasmettere una sola partita al giorno.
“È una cosa assurda, se messa in relazione anche alla pochezza del palinsesto abituale. Se serve un’ulteriore prova dello svilimento della cultura in Italia, eccola qui. Perché il mondiale è un evento culturale, il più importante appuntamento mediatico per il mondo intero. È pop”.
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13 Giugno 2010, 00:00