15 Dicembre 2022, 06:22
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CATANIA. Il primo appuntamento nell’agenda di monsignor Luigi Renna è fissato alle nove esatte del mattino. Appena quindici minuti dopo, ha già dato udienza al personale di Curia e a due sacerdoti. È lui stesso ad accoglierci nel suo studio e farci accomodare in una poltrona. Sorriso accogliente e passo rapido (non fosse altro che già lo aspettano al Rettorato per un incontro istituzionale al quale non intende arrivare in ritardo).
A neanche nove mesi dalla presa di possesso della cattedra catanese, l’arcivescovo è pronto a rispondere senza filtri a ogni domanda.
Sui temi scottanti, certo. Dalla pedofilia nel clero (“la Chiesa può parlare in maniera credibile sul tema perché i panni non li lava più in casa”, ci dice) al ruolo delle donne (“Sì, in passato sono state fatte scelte che non hanno permesso loro di venir fuori per quello che meritavano, oggi però sono presenti in tante istituzioni cristiane”, chiarisce). Renna tuttavia preferisce soffermarsi sulle cose catanesi, sia ecclesiastiche che sociali. E lo fa ponendosi dalla visuale del pastore.
Eccellenza, entrando in Diocesi ha dovuto affrontare quasi immediatamente un infanticidio e l’omicidio di una madre da parte del figlio. Due fatti orribili che si accompagnano ai problemi storici connessi alla criminalità organizzata. Che città è Catania?
“Come in molte città, la dimensione del male è sempre presente. C’è molto occulto. L’occulto di una malavita che si nutre di economia e che viene, a sua volta, nutrita dalla città. C’è tanto spaccio a Catania, ma anche molto consumo. È evidente che non è solo lo spacciatore a dover fare un esame di coscienza, ma anche il consumatore, che il più delle volte è un normale cittadino che aspetta il fine settimana per darsi allo sballo”.
Più volte lei ha parlato di emergenza educativa, cosa intende?
“Sono d’accordo con il Papa quando dice che i giovani non sono il futuro ma il presente. Una famiglia senza giovani è una famiglia povera. L’emergenza c’è perché forse manca un modo per essere padri e madri. Tante storie personali vedono i genitori distratti dal loro compito educativo. Poi c’è la questione della povertà ereditaria. Alcune classi sociali, oggi, non riescono a fare un salto di qualità perché non ne hanno la possibilità o perché sono vittime di una cultura che li ha emarginati. Sì: la più grande sfida, per me, è proprio quella educativa”.
Cosa hanno da dirle i poveri catanesi?
“Mi preoccupa la rassegnazione. Purtroppo è finito il tempo in cui i poveri riempivano le piazze per chiedere i loro diritti. Oggi, ci si accontenta semplicemente di chiedere un posticino, un’assunzione, non di fare un salto di qualità. Purtroppo, dal punto di vista politico, si tende ad anestetizzarli”.
Si riferisce al reddito di cittadinanza?
“Credo che il reddito di cittadinanza sia utile, ma va riformato perché non può essere un mero strumento assistenziale. Alle persone va data la possibilità di tornare nel mondo del lavoro. Dispiace che alcuni politici ne abbiano fatto una bandiera, non rendendosi conto che non è così che si aiutano i poveri. Serve quindi una riforma, sebbene non sia questo il miglior momento per vararla. La crisi energetica in corso avrebbe dovuto suggerirci di attendere un attimo e analizzare meglio la situazione”.
Parlando di politica, una volta ha detto che il vescovo non dà santini se non quelli di sant’Agata. Che rapporto vuole avere con la classe politica?
“Il rapporto che indica il Concilio, quello di una autonomia-relazionale. Si tratta di due istituzioni che non devono interferire. Io non posso dire al sindaco quali assessori scegliere e lui non può dire a me di spostare un parroco. Siamo chiamati però a relazionarci, perché siamo a servizio delle medesime persone”.
Cosa direbbe al prossimo sindaco?
“Innanzitutto di partire con una squadra che sia subito completa e di non aver paura di estromettere persone che abbiano processi in corso. Si tratta di situazioni che squalificano la classe politica e gettano un riflesso negativo sul sentire etico di tutti. Le leggi vanno rispettate ed è opportuno ritirarsi fino a quando non c’è l’assoluzione piena”.
Che tenore dovrà avere il programma dei candidati?
“Un programma che tenga conto di tutta la città in rapporto con le aree metropolitane. Non si può curare soltanto la zona di Catania. Fuori ci sono delle realtà davvero belle ed eccellenti. Permangono però dei problemi che dipendono dalla Regione, come quello dei rifiuti. Aver continuato ad affidare a delle ditte che si sapeva avrebbero lucrato è stato un clamoroso autogol delle precedenti amministrazioni regionali. Adesso spero che si vada con decisione verso i termovalorizzatori.
I laici-cattolici se e come devono approcciarsi al voto amministrativo?
“Il concetto di laico-cattolico, oggi, deve uscire da un immaginario che ha come modello il 1948, quando esisteva un solo partito. I cattolici, oggi, sono presenti in varie espressioni politiche. L’importante è che portino un’ispirazione chiara, orientata alle povertà e ai diritti, e a una visione a 360 gradi sulle persone. Purtroppo, non fa bene vedere alcuni cattolici schierati semplicemente sui diritti civili o altri soltanto sul diritto alla vita. I diritti vanno tenuti tutti assieme. Come dice la Dottrina sociale della Chiesa, non c’è alcun partito che possa rispondere pienamente alla stessa dottrina”.
Che fare, dunque?
“Il mondo cattolico è un mondo plurale che deve fare discernimento su alcune priorità: la povertà e il disastro ecologico. E portarle avanti, da destra alla sinistra. Quest’ultima ha le colpe maggiori per la situazione del paese, perché non ha saputo esprimere quell’anima popolare che l’aveva animata nel passato e ha messo all’angolo anche quei cattolici che potevano avere una voce”.
Che laicato ha trovato a Catania?
“Molto vivace e preparato. Questo lo si deve in parte al clero locale e in parte ai grandi movimenti ecclesiali nei cui circuiti Catania è sempre entrata. Penso a Comunione e Liberazione, all’Azione Cattolica, alla Comunità di Sant’Egidio, alle realtà legate ai francescani e tanti altri. L’associazionismo ha a Catania tutto quello che ci può essere in Italia. E questo ha qualificato molto il contesto. Il catanese è una persona che ha viaggiato, che si è informata e qui ha lasciato il segno”.
Lo scorso anno uscì un documento nel quale si parlava di un clero catanese stanco e sfibrato. Qual è il suo modello?
“Il prete deve guardare a un grande modello ideale, che è Gesù Cristo, e ai tanti pastori della nostra epoca. Penso a don Pino Puglisi, un siciliano, e don Tonino Bello, un pugliese. E a tanti altri. Il prete deve essere soprattutto credente e vicino alla gente. In questi mesi mi sono accorto che la storia di Catania è ricchissima di questi preti. Soprattutto di coloro che hanno lavorato tantissimo con la gente in periferia. Non sempre, però, la storia di queste persone ha avuto un lieto fine”.
Perché?
“Perché, magari, hanno portato avanti certe istituzioni fino allo sfinimento. Oppure perché hanno vissuto isolati o non sono stati compresi. Però la storia di Catania è una storia di grande profezia. Credo che la vivacità sia in qualche modo presente. E io ne sono testimone. La stanchezza, credo, deriva dal fatto che oggi è più difficile raccogliere frutti rispetto al passato. È finito il tempo delle masse e dell’associazionismo consistente. Ma c’è dell’altro bene che emerge e io ne sono testimone”.
Lei è un vescovo esigente con i suoi preti?
“Bisogna tener presente il motto di un papa che si chiamava Clemente: clemente con gli altri, ma non con se stessi. Esigenti per quanto riguarda il Vangelo, ma in modo da non mettere in difficoltà l’altro, che ha sempre bisogno di essere accompagnato. Dove ci sono delle fragilità, il prete non va buttato via, ma accompagnato”.
Veniamo a uno dei temi che sta più a cuore ai catanesi: sant’Agata. Nel presentare il programma dei festeggiamenti lei ha utilizzato parole dure contro abusi e infiltrazioni sospette.
“Il popolo ha una fede sincera che io rispetto, una fede talvolta ingenua che confonde il sacro con il profano. E chiede a Dio cose che Dio non può dare. Non si può chiedere, per intenderci, di far riuscire una rapina. Si può chiedere a Dio ciò che lui ama. Ovvero, il bene delle persone”.
Cosa intende nello specifico?
“Che la benedizione di Dio non ricade su coloro che usano la Festa per scommesse o per apparire, ostacolando le processioni. Queste cose bisogna dirle. Che poi fra il dire e il convincimento ci passi del tempo è una questione di coscienza. Per questo vorrei dire ai tanti che si preoccupano di questi temi di essere più presenti. Alcuni guardano dall’alto la festa, anche persone culturalmente ferrate, dando giudizi. Bisogna riconoscere che molto si è fatto negli anni, ma per bonificare un terreno bisogna starci sopra”.
Che festa sarà?
“Di gioia, certamente. Ma ripeto: la gioia non è euforia”.
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