Mafia, l'inchiesta Prato Verde | La "zia Tina" resta in carcere - Live Sicilia

Mafia, l’inchiesta Prato Verde | La “zia Tina” resta in carcere

La decisione del Riesame in merito al blitz della Dia scattato lo scorso 18 febbraio contro il Clan Cappello Carateddi. Cinque indagati sono tornati in libertà. Tre dal carcere sono, invece, finiti ai domiciliari. I dettagli.

Tribunale della Libertà
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CATANIA – Agata Balsamo rimane rinchiusa in una cella del carcere di Messina. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame che ha confermato alla moglie del boss Orazio Privitera, detenuto al 41bis, le contestazioni contenute nell’ordinanza Prato Verde. Tina Balsamo finì in carcere insieme ad altre 24 persone lo scorso 18 febbraio nel corso di una retata della Dia di Catania che ha azzerato – secondo le ipotesi investigative della Dda – il gruppo mafioso che aveva come riferimento il capomafia dei Cappello Carateddi Orazio Privitera. Un’organizzazione “familiare” ben articolata che aveva il suo feudo nella Piana di Catania, territorio che controllano attraverso il sistema “quasi storico” della guardanie.

A stare ai vertici del gruppo, ereditando quindi il ruolo di Orazio Privitera, la moglie Tina Balsamo che aveva preso in mano le redini degli affari del gruppo. Un capo con tutti i crismi, non solo “voce” e “intermediario” delle disposizioni del marito impartite dal carcere, ma anche mente e stratega autonoma dell’associazione mafiosa. Al suo fianco, ai piani alti della piramide, i fratelli del boss, Giuseppe e Giovanni Privitera. Per i due il Tribunale della Libertà ha confermato tutte le imputazioni e, dunque, resteranno detenuti a Bicocca. Le accuse formulate dalla Procura ai 26 indagati, uno è ancora latitante in Germania, vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, all’estorsione, all’intestazione fittizia di beni, fino al porto illegale di armi da fuoco, oltre alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni stanziate dall’UE per il sostegno all’agricoltura.

Conferma della misura in carcere anche per Giacomo “Alfonso” Cosenza, Giuseppe Buda, Alfio Cosenza, Franco Marino e  Francesco Pasqua. Arresti domiciliari, con ordinanza ritenuta “giusta” dal collegio del Riesame, per Salvatore Cicero ed Emiliano Antonino Di Mauro. Resta in carcere anche Giuseppe Cosenza nonostante un parziale annullamento delle contestazioni da parte del Tribunale della Libertà.

Finisce ai domiciliari Domenico Botta, il Riesame ha annullato la contestazione per associazione mafiosa. Misura sostituita con gli arresti domiciliari anche per Antonino Caruso (detto Antonello), difeso dagli avvocati Marco Tringali e Maria Michela Trovato, a cui è stata annullata l’aggravante mafiosa oltre al reato associativo. Stesso provvedimento è stato adottato per Salvatore Marino, mentre per Anthony Di Pietro il Tribunale ha disposto l’obbligo di firma.

Annullamento totale dell’ordinanza per Carmelo Abate, Orazio Cosenza, Salvatore Russo, Alfio Vecchio, Maria Dinca che sono tornati in libertà. Il resto degli indagati: Orazio Buda, Natala Sulfaro, Michele Viscuso, Angelo Vasta e Francesco Tosto hanno rinunciato al ricorso al Riesame. Resta ancora da valutare la posizione di Francesco Martino Platania, la cui udienza davanti al Tribunale della Libertà è fissata per il prossimo 18 Marzo.

Prato Verde oltre a rappresentare un importante caso giudiziario per il potere e il carisma dimostrato da Tina Balsamo, capacità che riportano alla memoria Concetta Scalisi, donna d’onore di Adrano, è un’inchiesta ancora non chiusa in quanto getta spiragli investigativi su interessi nel business del cemento e degli autotrasporti. In particolare la costruzione di Centri Commerciali con rapporti d’affari tra i Cappello e i Santapaola-Ercolano. Ombre anche in merito a cooperative di servizi sanitari che hanno ottenuto appalti al Cannizzaro di Catania.

Nell’ordinanza della Gip si passano in rassegna anche i collegamenti diretti che Tina aveva con i “bisonti” catanesi. E’ stato scoperto che le trasferte in nave di Agata Balsamo e dei cognati, organizzati per svolgere i colloqui con il marito detenuto, erano pagati da Giuseppe Richichi, titolare del consorzio di autotrasportatori, Aias. I traghetti da Catania a Napoli o da Messina a Salerno sono acquistati dalla carta di credito della ditta.

Sono per la Procura i “feudatari” della Piana di Catania, con diramazioni di controllo anche al Pigno e a Librino. Il potere passa anche attraverso il sistema del pizzo e delle estorsioni. Due le vittime individuate dalla Dia.  Il primo il gestore della Q8 dell’asse dei servizi “costretto” a pagare il pizzo oltre che a fornire di benzina Tina Balsamo per i suoi viaggi in auto fino all’istituto penitenziario de L’Aquila dove è detenuto. I secondi i titolari del lido La Cucaracha che avrebbero affidato, dietro imposizione da parte del Clan,  a Orazio Buda la gestione del parcheggio in cambio di un “irrisorio” canone di locazione. Gli imprenditori però hanno sempre smentito questa ricostruzione ai magistrati.

E ancora Prato Verde svela i meccanismi per truffare l’Unione Europea nell’erogazione dei contributi per il supporto all’agricoltura. Il gruppo infatti avrebbe percepito in maniera fraudolenta oltre un milione e mezzo di euro dall’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura). La truffa sarebbe stata pianificata sfruttando il metodo dell’autocertificazione: gli indagati dichiaravano di gestire particelle di terreno in realtà di proprietà di altri latifondisti in modo da raggiungere il numero di ettari necessario per poter ricevere il finanziamento.

Il Riesame, dunque, ad eccezione di qualche posizione marginale, (anche se bisognerà attendere le motivazioni per conoscere bene il pensiero dei giudici della Libertà) ha ritenuto  solida l’ordinanza firmata dal Gip Laura Benanti soprattutto per la sussistenza degli elementi probanti sul ruolo di vertice ricoperto da Tina Balsamo. La donna aveva di fatto sostiuito in tutto per tutto il boss Orazio Privitera, che nonostante il carcere duro avrebbe continuato ad impartire ordini e direttivae al suo gruppo criminale. Questo per dimostrare come neanche il regime del 41 bis riesce a impedire ai capimafia di conservare il loro potere e controllo sulle organizzazioni mafiose.

 


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