Politica

Premierato, ecco perché la versione all’italiana non funziona

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06 Novembre 2023, 21:19

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Chissà come avrebbe reagito il mio compianto docente a Giurisprudenza di Diritto Costituzionale leggendo il disegno di legge costituzionale che istituisce il “premierato all’italiana”. Io, molto più modestamente, lo ritengo irricevibile, contraddittorio, pasticciato e anche contrario ai principi supremi della nostra Carta fondamentale che mai possono essere violati, nemmeno da una riforma costituzionale (Sent. Consulta n.1146/88).

Un testo che sembra essere stato scritto da qualcuno asservito all’attuale maggioranza o, in alternativa, abbastanza ignorante sui concetti di democrazia e governabilità. Avremo modo di tornarci spesso visto l’iter parlamentare piuttosto lungo previsto per le modifiche costituzionali (due deliberazioni conformi alla Camera e al Senato a distanza di 3 mesi) e anche perché potrebbero intervenire, durante il dibattito parlamentare, delle importanti variazioni. In ogni caso, se le modifiche non saranno approvate con una maggioranza dei 2/3 in ambedue le Camere si va al referendum confermativo.

Intanto, vediamo di abbozzare sinteticamente e senza inutili tecnicismi i nodi centrali del ddl in questione, targato Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, per capirne gli obiettivi e svelarne l’indigesto intruglio che ne verrebbe fuori. Gli articoli della Costituzione coinvolti sono il 59, l’88, il 92 e il 94. Vi è poi una disposizione transitoria che pone temporalmente nella prossima legislatura l’applicazione delle nuove norme.

Procediamo ordinatamente. Con l’abrogazione del 2° comma dell’art. 59 diciamo addio ai senatori a vita nominati dal Capo dello Stato per altissimi meriti in vari campi dando lustro all’Italia. Rimangono senatori a vita i presidenti emeriti della Repubblica. Con l’abrogazione parziale del 1° comma dell’art. 88 il Capo dello Stato non potrà più sciogliere solo una delle due Camere (evento del resto mai verificatosi). Andiamo al “punctum crucis” della faccenda: la previsione di un presidente del Consiglio eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni con la medesima scheda con la quale si eleggeranno i deputati e i senatori.

Qui comincia il pasticcio evocato all’inizio. Noi avremo un presidente del Consiglio eletto dal popolo mentre il presidente della Repubblica continuerà ad essere eletto dal Parlamento. Secondo voi, chi avrà più potere sostanziale? Il Capo dello Stato perderà prestigio e la funzione super partes di garante e di “moral suasion” attualmente rivestita. Non solo, perderà il potere di nomina del presidente del Consiglio e di sciogliere le Camere, sulla carta tali poteri rimangono ma non nella pratica. Infatti, potrà incaricare, ovviamente, unicamente il premier eletto e dovrà obbligatoriamente sciogliere le Camere se il premier eletto non otterrà la fiducia del Parlamento una prima e una seconda volta.

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Ma com’è possibile che un presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo possa subire la mannaia della non fiducia delle Camere? Un’aberrazione giuridica. Se il presidente del Consiglio eletto viene meno per qualunque causa in corso di legislatura il Capo dello Stato può conferire l’incarico allo stesso premier eletto o a un parlamentare “che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”

Paradossalmente, quindi, il premier incaricato non eletto (un parlamentare collegato al premier eletto) avrà più peso di quello eletto perché se non otterrà la fiducia determinerà lo scioglimento delle Camere (la cosiddetta norma anti-ribaltone). Il Presidente della Repubblica svolgerà un ruolo notarile, per giunta vincolato al programma del presidente eletto.

Non è finita qui. Non è previsto un numero di mandati, tipo Stato sudamericano anni ’70, non è previsto un ballottaggio mentre sarebbe previsto in Costituzione un premio di maggioranza del 55% su base nazionale, con sistema elettorale stabilito con legge ordinaria, che senza ballottaggio potrebbe essere assegnato alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio pur ottenendo, per esempio, il 30% dei consensi.

Altissimi profili di incostituzionalità e ulteriore aberrazione: abbandonare il Parlamento nelle mani di una minoranza. Parlamento peraltro declassato a una comune assemblea elettiva locale, ricattabile di scioglimento da parte dell’Esecutivo. Insomma, va in frantumi la separazione dei poteri e il sofisticato congegno di pesi e contrappesi voluto dai Padri costituenti. Davvero un bel lavoro, complimenti! Continueremo nelle prossime puntate.

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06 Novembre 2023, 21:19

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