18 Dicembre 2016, 11:01
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SANTA VENERINA. Non morirà mai il ricordo di Maria Grazia Cutuli, l’inviata del Corriere della Sera rimasta uccisa il 19 novembre del 2001 in Afghanistan durante un agguato. A perdere la vita con lei furono anche altri tre colleghi. Ma indissolubile rimane, soprattutto, il legame di Maria Grazia con la sua terra. Ecco perché anche quest’anno è stata portata a compimento la XII edizione il premio Internazionale di giornalismo dedicato alla sua memoria. Un evento fortemente voluto e promosso come ogni anno dal Comune di Santa Venerina. Ma a collaborare quest’anno nell’organizzazione è stata anche la città metropolitana di Catania. La cerimonia di premiazione si è svolta ieri sera nel cineteatro Eliseo di Santa Venerina.
I giornalisti insigniti del riconoscimento sono stati Yasemin Taskin, corrispondente estera della televisione nazionale turca, vincitrice per la sezione “stampa estera”; Mimmo Càndito, inviato speciale de La Stampa e scrittore è stato premiato per la sezione “stampa nazionale”. Per la categoria “giornalisti siciliani emergenti” sono stati invece premiati i giovani Lorenzo Tondo, collaboratore del The Guardian e Sara Scarafia, redattrice de La Repubblica Palermo. Entrambi emozionatissimi. Queste le relazioni dei premiati: Yasemin Taskin – La libertà di stampa e la libertà del giornalista; Mimmo Càndito – La postverità (Il giornalismo in crisi di identità), Sara Scarafia e Lorenzo Tondo – Vivere di giornalismo in Sicilia: una sfida possibile. Due esperienze a confronto”. Presenti alla serata condotta dall’inviato del TG3, Nico Piro, i familiari di Maria Grazia.
Ma nella mattinata i premiati hanno, inoltre, tenuto una lectio magistralis sul giornalismo nell’aula magna del Monastero dei Benedettini di Catania messa a disposizione dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania. Ecco una breve sintesi del discorso tenuto dalla giornalista turca, Yasemin Taskin.
“Il lavoro del giornalista è una missione, una vocazione e una passione. Caratteristiche fortemente legate fra loro. Una missione che non può essere realizzata senza nutrire passione e vocazione. Per questo voglio ricordare il grande giornalista, Tiziano Terzani, che diceva: ‘Fare il giornalista non è un semplice mestiere, qualcosa per guadagnarsi da vivere, ma di più: una bellezza consacrata alla ricerca della verità’. Per cercare la verità è necessario avere le mani libere. In qualsiasi paese che si consideri libero e democratico, il mestiere del giornalista dovrebbe essere protetto dalle leggi in maniera decisa contro ogni forma di repressione nei confronti di chi lo esercita. Una condizione che purtroppo viene a mancare non solo in paesi come il mio, ma anche in altri paesi in Europa. E anche in Sicilia accade. Questo lavoro lo si fa spesso in ragione di una ‘grave’ necessità di raccontare. Una necessità interiore di cercare e raccontare che caratterizza l’animo del giornalista”.
“Non si tratta di un semplice lavoro il cui scopo è solo quello di informare. Ma va oltre. Noi giornalisti vogliamo raccontare i fatti con tutte le sue sfumature e sappiamo benissimo che la verità non è unica: ognuno può averne una diversa percezione. E anche per questo motivo il mestiere del giornalista è un lavoro delicato come lo è quello del chirurgo. Personalmente la passione che si prova per questo mestiere lo paragonerei a quello che provava Anna Karenina per Vronskij, nel famoso romanzo di Tolstoj: quel fuoco bisogna seguirlo e alimentarlo tutti i giorni per esercitare questo mestiere”.
“E non è un mestiere per cinici ambiziosi o carrieristi senza scrupoli, questi ultimi sono coloro che ne rovinano la bellezza. In 25 anni di lavoro ho visto spesso andare avanti proprio quelli che ne avevano meno. Purtroppo, nell’immaginario collettivo il giornalista è sempre descritto come quello privo di scrupoli. Invece – come ha ricordato Mimmo Càndito – noi dovremmo provare empatia verso la sofferenza e verso quello che stiamo raccontando, fa parte del lavoro”.
“Il giornalista è alla ricerca costante della verità. La verità spesso è scomoda, disturba. Inquieta i poteri e i regimi. E può scatenare atti di repressioni nei confronti di quei giornalisti che la cercano. Per queste ragioni deve essere forte nei propri valori e nelle proprie convinzioni. Ecco perché – come ha ribadito ancora Càndito – deve costruirsi e costruire la propria conoscenza. Senza la conoscenza questo mestiere rischia in futuro di non esistere più. Il giornalista non deve mai tradire la verità o comprometterla. Per fare questo deve cercare di mantenersi lontano dai poteri. La figura del giornalista che va a braccetto con il potere, vantandosi di queste relazioni, rappresenta davvero un cattivo esempio per chi aspira a esercitare questa professione. Se il potere non ama il giornalista, questo dovrebbe invece essere un privilegio. Una lode per come ha esercitato il suo mestiere: evidentemente, ha fatto bene il suo lavoro”.
“Il giornalismo è segnato dal fatto di essere una testimonianza del mondo. Questo oggi sta scomparendo. Il processo di costruzione della conoscenza necessario per fare sopravvivere questa mestiere” – ha detto Mimmo Càndito.
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18 Dicembre 2016, 11:01