Presentato “Liberi tutti”| L’ultimo libro di Piero Grasso

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23 Novembre 2012, 22:02

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PALERMO – Avere sette anni. O forse otto. Stare acquattati dietro un albero, in una rientranza, sotto un letto. Senza respirare, quasi. Poi, una voce: «visto!» e a seguire il tuo nome. E sei con tutti gli altri: un gruppetto triste. Siete stati scoperti. Ma, forse, no. Manca ancora qualcuno. Lui può farcela, a non farsi scoprire. Lui può avvicinarsi di soppiatto, fare uno scatto velocissimo e, mentre l’altro lo cerca lontano, liberare tutti. Liberi tutti! La frustrazione, la speranza, l’attesa e poi, finalmente, l’esultanza e il sollievo.

Chi è stato bambino, e ha la fortuna di ricordaselo di tanto in tanto, non può aver dimenticato quella sequenza magica di emozioni. Anche se poi ha imparato a pianificare, a ponderare, a organizzare, a valutare realisticamente le situazioni e le persone, quella forma originaria di speranza rimane come pietra di paragone per tutte le altre, più tiepide, speranze che proverà.

Pensieri analoghi a questi devono aver mosso Piero Grasso, quando ha ideato e poi scritto il suo ultimo libro: “Liberi tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia” (Sperling & Kupfer), presentato oggi alle 17.30 a Palermo, a Palazzo Branciforte. La morte di cui parla Grasso non è soltanto quella del picciotto caduto, o del testimone ucciso, o del passante morto per caso in una delle troppe stragi che hanno insanguinato strade, musei, chiese, e luoghi di Sicilia e di Italia. È invece la morte di chi pensa che la partita sia persa, che la forza del nemico sia troppo pervasiva, troppo radicata, troppo allettante. Tanto vale allora, accettare le cose per come stanno, perché sono sempre state.

Per questi motivi, spiega Grasso, oltre all’antimafia della repressione, della legge, dell’investigazione serve anche l’antimafia dei bambini, dei sognatori, degli utopisti perfino. Già soltanto per conoscerla, la mafia, è necessaria una tenacia fuori dal comune, un lavoro paziente e snervante. Piero Grasso è entrato in magistratura nel lontano 1969, quando ancora della mafia non si conosceva neppure il vero nome, che fu rivelato da un pentito anni dopo: “Cosa Nostra”. Per quarant’anni ha lavorato per perseguirne i crimini ma anche per indagarne le logiche, la cultura, il linguaggio. Dal 2005 è procuratore nazionale.

Il libro si snoda fra i ricordi personali di Grasso, l’infanzia, gli studi, i volti di una città a tratti misteriosa e a tratti ripugnante, i maestri Terranova e Scaglione, Don Puglisi; ma anche la provincia arretrata e desolata, terra di emigrazione, di povertà vera e di lussi ostentati. E poi il lavoro, in condizioni francescane, e gli amici che ad uno ad uno cadono, e rendono difficile mantenere la speranza senza che diventi utopia. Al giornalista Francesco La Licata che in quegli anni gli chiede se è possibile sconfiggere la mafia, Grasso risponde: «sarebbe una rivoluzione!» . Lo ricordano, il magistrato e il giornalista, a Palazzo Branciforte: ma chi ci crede, alla rivoluzione? Qualche giornalista e qualche magistrato. E poi, i sognatori, i visionari, i bambini. Non molti forse. Ma molto tenaci.  

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23 Novembre 2012, 22:02

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