Presidente, provi a vergognarsi | La colpa del malgoverno è sua

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02 Luglio 2015, 06:00

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Il ritornello è sempre lo stesso. È il solito refrain, noto, logoro, ormai stanco. I poteri oscuri, il malaffare “di cui un giorno parlerò” e ovviamente la mafia. Sulle ferite ormai maloeodoranti di una esperienza di governo contraddistinta da figuracce e strafalcioni, il presidente Crocetta sparge il consueto deodorante.

Il governatore, ieri, ha regito, con un lungo, concitato comunicato stampa a nemici oscuri. Mulini a vento contro i quali puntare una lancia evidentemente spuntata. Dimenticando, ovviamente, di fare almeno per un attimo un mea culpa. Così, ecco che il racconto delle prossime dimissioni di Lucia Borsellino diventa, agli occhi del governatore, una storia da “metodo Boffo”. Il romanzo di un accerchiamento all’assessore alla Sanità che sarebbe solo lo specchio di un attacco concentrico al governatore. Una “punizione” per la sua lotta contro il malaffare. Una ricostruzione che cozza con la realtà descritta, ad esempio, proprio dall’assessore Borsellino, che ha parlato sia oggi che ieri sui quotidiani regionali del “venir meno delle condizioni che mi hanno portato ad accettare la proposta di Crocetta”. E ha fatto riferimento alla “nuova composizione della giunta”. Lo stesso motivo che ha portato all’addio, ad esempio, di Nino Caleca. Assessore considerato una “garanzia di legalità” da Crocetta al momento della nomina. E che ha sbattutto la porta, ed è andato via, di fronte alla nomina di Giovanni Pistorio, ex assessore alla Sanità di Cuffaro ed ex braccio destro di Lombardo, intravedendo un preoccupante tentativo di “ritorno al passato”.

Un caos che il governatore sembra non vedere. E dire che basterebbe limitarsi a osservare i numeri: 36 assessori in 30 mesi di governo sono il segno del fallimento. Dell’incapacità di progettare nulla. Della voglia di vivere alla giornata, sperando in un passaggio televisivo. Dall’era dei “creativi” Zichichi e Battiato si è passati senza rossore a quella delle segretarie e delle militanti di partito, agli assessori che interpretano camei da 20 giorni (come Piergiorgio Giarratana) a quelli che fuggono per motivi personali (la Castronovo), o per motivi legati alla viabilità (Leotta). Trentasei asessori e presto ne dovranno arrivare altri. Siamo già oltre la soglia raggiunta da Lombardo in quasi cinque anni. Oltre il numero collezionato da Cuffaro in due legislature. Anche i numeri, forse, ce l’hanno col governatore. Che invece sembra non vedere il lungo elenco di errori che hanno puntellato trenta mesi di governo. E che hanno convinto persino le più “resistenti” (Lucia Borsellino, e tra poco anche Linda Vancheri) ad arrendersi. Ad alzare le braccia.

Figuracce per le quali il governatore, invece, sembra non nutrire nessuna vergogna, non mostrare alcun rossore. Se qualcosa non è andato, la colpa è del malaffare e delle lobby di cui un giorno, magari, parlerà. E che magari spiegheranno anche i continui valzer di dirigenti generali che hanno rallentato la spesa dei Fondi europei, e le nomine relegate alla storia della reclame, come quella di Tano Grasso. Che a Palazzo d’Orleans non arriverà mai.

E a proposito di pubblicità, chissà quali oscuri interessi hanno bloccato una riforma “già fatta”. Come quella delle Province. Più di due anni fa, il governatore andava in onda sui tg nazionali: “Siamo i primi in Italia ad abolire quest’ente”. Pochi giorni fa, i dipendenti delle ex Province sfilavano sotto Palazzo d’Orleans: la riforma non è mai stata compiuta. A meno che, per “riforma”, non si intenda un lungo periodo di “commissariamenti straordinati”.

E chissà se tra i lobbisti, tra i personaggi che tramano nell’ombra per contrastare l’azione antimafia e antimanciugghia del presidente c’è, ad esempio, l’ex commissario dello Stato Carmelo Aronica. Lo stesso, per intenderci, che è riuscito, nel breve spazio di un anno e mezzo, a bocciare per incostituzionalità più di cento articoli delle finanziarie del governo. Come se il rispetto delle norme costituzionali non fosse uno dei massimi, più alti esempi di legalità nell’azione politica. E invece, eccoli cadere uno dopo l’altro, questi articoli infilati lì più per diffondere qualche nuovo spot nelle trasmissioni televisive che per offrire un vero beneficio ai siciliani. Chissà se anche quel prefetto, insomma, è responsabile del fallimento del governo.

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E chissà se lo sono anche i magistrati di Tar e Cga. Gli stessi, solo per andare a memoria, che hanno bocciato le decisioni del governo sul Muos (cavallo di battaglia del governatore durante la campagna elettorale), le nuove regole per l’accreditamento della Formazione, con lo stop dell’intero settore, compresi i corsi destinati ai giovanissimi, abbandonati alla dispersione scolastica, vero presupposto per l’avvicinamento da parte della malavita. E chissà se quegli stessi magistrati amministrativi sono animati da qualche oscuro progetto quando, ad esempio, restituiscono agli enti di formazione il diritto a partecipare ai bandi pubblici, illegittimamente tolto dal governo in un raptus di furia moralizzatrice. E chissà cosa c’era dietro la sentenza che ha spiegato che due manager della Sanità a Catania erano stati illegittimamente messi fuori dalla rosa dei nuovi direttori generali. O, per restare in tema, chissà quale obiettivo, i giudici del Tar avevano “puntato” quando hanno clamorosamente censurato la revoca dell’autorizzazione all’azienda Humanitas, facendo riferimento a errori marchiani della burocrazia.

Già, quella vicenda per il governatore è stata “strumentalizzata”. Non si è capito però per quale motivo e con quale obiettivo. E se tra gli “strumentalizzatori” vadano considerati anche i magistrati che hanno aperto un fascicolo, o la commissione Antimafia all’Ars che ha avviato una indagine. No, c’è sempre qualcos’altro. Qualcun altro. Un interesse violato. Un retropensiero. Che non consente di guardare, invece, davanti al proprio naso. Per, magari, ammettere di avere sbagliato con la scelta di assumere 78 persone a Sicilia e-servizi, decisione che quegli altri “contestatori” dei pm della Procura della Corte dei conti hanno descritto come un modo per “rinnegare una scelta di legalità”. Una vicenda per la quale la Procura di Palermo sta indagando sia su Crocetta sia sull’ex pm Antonio Ingroia, che il governatore ha provato prima a piazzare a Riscossione Sicilia, per poi ripiegare nella società di informatica, opportunamente resuscitata dalla liquidazione. No, nessun rossore. Nessun errore. Nessuna vergogna.

Il male sta sempre altrove. Mai vicino al governatore. E così, mentre pioveva una fatwa al giorno anche nei confronti di dirigenti regionali incensurati (qualcuno ricorda la storia del povero Francesco Schillaci, ‘mascariato’ in diretta nel corso di una conferenza stampa?) il governatore della legalità decide di tenersi al suo fianco un segretario generale come Patrizia Monterosso condannato in primo grado a oltre un milione di euro per i fondi della Formazione (chissà cosa avrebbe detto il presidente se, tra i ‘condannati’ dalla Corte dei conti ci fossero stati solo l’ex governatore Lombardo e i suoi ex assessori), e ancora dirigenti generali come Anna Rosa Corsello rinviata a giudizio per peculato legato all’uso dell’auto blu. Proprio il simbolo di quella casta che il governatore afferma di combattere. Pagandone l’inevitabile scotto.

E ovviamente, nessuna vergogna sul “caso Tutino”. Che il governatore ha già derubricato come “cosa che non gli appartiene”. Come se il sistema non si fondasse sui rapporti che lo stesso primario teneva col commissario staordinario Giacomo Sampieri. Non solo scelto direttamente dal presidente, ma anche tra i più graditi. Vergogna? Macché. Dopo la “cacciata” da Villa Sofia, il presidente provò a rilanciare il manager indagato alla guida della Seus-118. E a proposito di società partecipate: dovevano essere spazzate via dallo Tsunami di Gela. Ovviamente, sono tutte lì. Imbottite di amici e fedelissimi.

Ma la colpa è sempre altrove. È sempre di qualcun altro. Di quelli, ovviamente, che vogliono che ritorni il passato. Il passato che nella Sanità, ha tuonato il presidente, ha fatto rima con “clientelismo” e “sprechi”. Il passato, per intenderci, dei governi Lombardo e Cuffaro. Del primo, Crocetta ha fin dall’inizio assorbito tutto. A cominciare da uno degli ispiratori e bis-sponsor: il senatore Beppe Lumia, offrendo un esempio fulgido del più classico trasformismo, a una sfilza di ex deputati di Grande Sud, Mpa, Fli e persino Cantiere popolare. Già, il partito dei nostalgici di Cuffaro. Un partito del quale Crocetta è quantomeno un socio onorario. Lo dimostra il fatto che l’altro ieri ha scelto uno dei suoi assessori alla Sanità. E lo ha fatto assessore a sua volta, negli stessi minuti in cui minacciava: “Io resisto. E i nostalgici di quell’era di sprechi e malaffare si mettano il cuore in pace: il passato non tornerà”. In effetti, il passato era già tornato. Senza vergogna.

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02 Luglio 2015, 06:00

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