18 Aprile 2014, 09:05
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CATANIA – Come lo si fa incontrando vecchi amici dopo anni di lontananza. Questo il clima che si respirava alla Feltrinelli di Catania durante la presentazione del libro “Prima che la notte” a firma dei due giornalisti Claudio Fava e Michele Gambino. Attraverso aneddoti e racconti a tratti divertenti si è parlato di quei “carusi” che in una sola notte si ritrovarono subito adulti, invecchiati, con lo sguardo ferito e l’innocenza smarrita. I carusi di Giuseppe Fava. E lo si è fatto con semplicità, disinvoltura, come se tutti – ed in fondo è proprio così – li conoscessero personalmente, da una vita.
Dalla ricerca della pubblicità, degli sponsor, all’adrenalina a mille ogni qualvolta si lavorava ad una nuova inchiesta. “Il libro – spiega Claudio Fava durante la presentazione – non vuole essere il racconto della vita di mio padre, ma tutto ciò che è stato il suo giornale, con i suoi ragazzi, compagni di avventure e disavventure, attraverso le loro esperienze”. La notte come metafora, di certo non di una sconfitta.
Gli autori hanno ripercorso così quei giorni, primo tra tutti quello della nascita vera e propria della rivista: “La mattina in cui il notaio firmò tutte le carte, c’è chi mise il vestito più bello, chi si presentò un’ora prima all’appuntamento, come Riccardo, era un momento solenne perché non si trattava di sigilli su semplici carte, quel giorno il sigillo venne posto sui nostri spiriti”.
Una platea di attenti ascoltatori ha condiviso con gli autori questi pezzi di vita inediti. “Il libro non è un noir su un delitto di mafia e nemmeno il canto a lutto per la morte di un uomo – precisano Gambino e Fava – “Prima che la notte” promette di essere diario di storie”
Molti dei passi sono stati letti, quasi recitati. catturando ancora di più l’attenzione dei presenti. “Non avevamo avuto il tempo di essere preparati, ci sentivamo stolti e felici, spavaldi e immortali, eravamo Patroclo, Achille, Ettore, eravamo ancora tutte le vite che avremmo potuto vivere e poi, di colpo, ci scoprimmo orfani che dovevano crescere in fretta, soldati anche noi, reclute sbandate al primo scontro col nemico. Eravamo stati inconsapevoli: dunque, colpevoli”. Tra ansie, aspettative, voglia di mettersi in gioco, ma soprattutto voglia di essere liberi.
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18 Aprile 2014, 09:05