23 Febbraio 2017, 15:49
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PALERMO – Ancora un rinvio, ma stavolta in ballo c’è l’intero processo. Secondo i difensori, il sequestro dei beni degli imprenditori palermitani Rappa è nullo perché si baserebbe su “un decreto materialmente falso”. Spetta ora al collegio delle Misure di prevenzione decidere se accogliere l’eccezione di nullità. Se così fosse crollerebbe l’intero processo. Il pubblico ministero si è opposto e il 9 marzo il Tribunale prenderà una decisione.
Il processo è alle battute finali. I consulenti, infatti, hanno depositato la perizia sul patrimonio. I giudici erano pronti ad entrare in camera di consiglio per decidere se restituire i beni oppure confiscarli. Ed invece dovranno prima valutare l’eccezione sollevata dal legale di Filippo Rappa, l’avvocato Giuseppe Oddo. Un’eccezione che si basa sul decreto di sequestro eseguito dal gip di Caltanissetta su richiesta dei pm che indagano sullo scandalo Saguto.
Al punto 75 del provvedimento nisseno si fa riferimento al presunto falso commesso dal giudice Fabio Licata che avrebbe apposto la firma apocrifa dell’allora presidente Silvana Saguto. Sarebbe stato commesso un doppio falso perché “il decreto non proveniva dal soggetto giuridico come l’autore degli atti, ossia il Tribunale, costituito, oltre che da Fabio Licata, anche da Saguto e da Lorenzo Chiaramonte”. Da qui, secondo la difesa, deriverebbe la nullità dell’intera procedura. Di avviso opposto la Procura. Innanzitutto, non c’è alcuna certezza che la firma fosse stata falsificata visto che non è stata ancora pronunciata una sentenza definitiva. Ed ancora, non si può fare confluire in questo processo del materiale che proviene da un’altra indagine. In ogni caso, se davvero un falso fosse stato commesso, si tratterebbe di un fatto formale che non incide nella sostanza del sequestro Rappa. L’ultima parola spetta al collegio presieduto da Giacomo Montalbano.
Solo dopo il 9 marzo, se il processo resterà in piedi, si conoscerà l’esito della perizia sui beni degli imprenditori palermitani. Il Tribunale aveva chiesto ai periti di approfondire due aspetti. Primo: la provenienza dei beni della moglie di Vincenzo Rappa, morto a Palermo nel 2009 dopo essere stato condannato per mafia. Secondo: il Gruppo Rappa nel 2000, scrissero gli investigatori, aveva un’esposizione debitoria nei confronti delle banche di 250 miliardi di lire; nel 2007 la Sicilcassa cedette alla società Finmed di Milano i crediti vantati nei confronti delle società; la Finmed è controllata dalla Med Group, altra società del Gruppo, “che ha liberato da ogni vincolo ipotecario e di pretesa di terzi il consistente patrimonio immobiliare – aggiungevano gli investigatori – illecitamente costituito da Rappa Vincenzo immettendosi nella piena proprietà dello stesso”. Secondo l’accusa, “alla morte di Rappa il suo patrimonio è passato agli eredi, ma mentre Rappa era ancora in vita i nipoti Vincenzo Corrado e Gabriele, con articolate acquisizioni finanziarie hanno consolidato il controllo delle imprese”.
In passato, lo stesso Vincenzo Corrado, nipote di Vincenzo Rappa, nel corso di alcune dichiarazioni spontanee, spiegò che Finmed, a causa dei gravi inadempimenti contrattuali delle società del Gruppo Rappa, decise di esercitare i crediti vantati nei confronti di queste ultime tramite delle esecuzioni immobiliari. L’acquisto dei crediti vantati dalla Sicilcassa da parte di Finmed era stato effettuato mediante finanziamenti bancari e adeguati mezzi propri di Vincenzo Corrado Rappa, derivanti dagli alti redditi regolarmente dichiarati. “Ben venga qualunque approfondimento, l’operazione Finmed è una normale e lineare cartolarizzazione effettuata sotto l’egida della Banca d’Italia”, dissero alle scorse udienze i legali degli imprenditori.
Il valore del patrimonio Rappa è stato stimato in 800 milioni di euro. Si tratta di società, immobili aziende di pubblicità, la televisione Trm e la concessionaria “Nuova sport car”. A disporre il sequestro fu la vecchia sezione del Tribunale, allora presieduta da Saguto, oggi sospesa dal Csm. Le indagini era state eseguite dalla Dia. L’amministrazione giudiziaria era stata affidata a Walter Virga, pure lui sotto inchiesta a Caltanissetta.
Nei mesi scorsi la Cassazione ha bocciato i provvedimenti emessi nel marzo e nel giugno 2014, quelli che colpirono il figlio di Vincenzo, Filippo, e i nipoti. È rimasto, invece, in piedi il terzo sequestro, quello emesso nel febbraio 2015 quando arrivò una nuova misura di prevenzione patrimoniale, stavolta proposta dalla Procura, che riguardava direttamente Filippo Rappa e i figli Vincenzo Corrado e Gabriele. Gli imprenditori, secondo i pm, sarebbero “socialmente pericolosi”.
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23 Febbraio 2017, 15:49