Processo al Pd siciliano: nessuno può dirsi innocente

Processo al Pd siciliano: nessuno può dirsi innocente

Perché le cose sono andate malissimo. Di chi è la colpa

Con tutto il rispetto, la diatriba per le mancate dimissioni del segretario del Pd siciliano, Anthony Barbagallo, è una cosa flebile rispetto alle proporzioni monumentali di una catastrofe. Sì, certo, questo Partito Democratico isolano le ha sbagliate tutte, specialmente nella scelta della sua competitor. Nessuno poteva ricomporre la frattura nazionale che ha portato alla diaspora dei grillini. Ma Caterina Chinnici non avrebbe vinto lo stesso e, nell’aggancio ipotetico delle due forze, il totale non avrebbe mai dato la somma. M5S, da solo, ha verosimilmente preso di più delle preferenze che avrebbe raccolto se fosse rimasto alla corte dei pidini, per ragioni che ognuno intuisce.

L’onorevole Chinnici – diciamo la verità – ha condotto una campagna elettorale esangue in cui, non il garbo, è stato il silenzio a trionfare. Niente di ciò che sarebbe stato opportuno dire è stato detto. Ecco perché i militanti scornati si trovano nell’imbarazzante paragone tra una sconfitta e una resa.

Ha proprio ragione Claudio Fava: “Molto si potrebbe dire e scrivere (e forse, non qui, lo farò) su questa campagna elettorale noiosa e reticente, sulle scelleratezze di un partito democratico che in Sicilia preferisce sempre perdere pur di non rinunciare ai propri minuscoli califfati”. Ma che partito è una comunità che nemmeno organizza una segreteria politica nel giorno delle elezioni? E che partito è un partito, se non ci mette la faccia?

L’impressione, comunque, è quella dei titoli di coda del centrosinistra politicamente e filosoficamente inteso. C’erano una volta le sezioni con gli iscritti e quei militanti a cui si accennava che, ora, cercano un muro per congrue testate di rabbia (non fatelo a casa). C’erano una volta le librerie, i dibattiti, i luoghi fisici, le feste dell’Unità. C’era una volta Massimo D’Alema che, a Palermo, nel 2005, nel corso di una Festa dell’Unità, chiese del cibo. Gli presentarono le tagliatelle e lui – diciamo – si inalberò moderatamente. Cercarono degli autoctoni cannoli. La ricotta c’era, le cialde no. Alla fine – si narra – lo stesso Max accettò la ricotta di un cannolo immaginario e la distribuì ai commensali.

E c’erano pure allora i duelli rusticani in un insieme che ha sempre coltivato ‘il bacillo della scisma’. Tuttavia, ogni evento – dalla sfida all’alba dietro le mura, alla discussione – si verificava all’ombra di una certezza identitaria di sinistra. Oggi, per essere del Pd, è sufficiente sapere usare le posate a tavola. L’identità secondo alcuni non paga? Guardate Giorgia Meloni.

E ha ragione pure Valentina Chinnici quando, dall’alto di un successo clamoroso, invita a riaprire le sezioni. Ci vorrà tempo e sarà necessario risolvere il dilemma del ‘Chi siamo’. Ecco perché la rissa-processo del Pd siciliano è una piccola cosa che giunge dopo anni di sfascio. Nessuno può dirsi innocente. (Roberto Puglisi)


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