10 Febbraio 2014, 14:06
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PALERMO – Scongiurato il rischio scarcerazioni. Il giudice per l’udienza preliminare “congela” i termini di custodia cautelare al processo contro i presunti boss del rione Noce e dichiara validi tutti gli atti finora eseguiti. Risultato: rigettate le istanze di scarcerazione presentate dagli avvocati di 42 presunti uomini d’onore, estorsori, prestanome e trafficanti di droga, finiti in cella a ottobre dell’anno scorso.
I legali avevano ricusato due giudici – Angela Gerardi e Gugliemo Nicastro – “costretti” ad astenersi perché, avendo in passato concesso una proroga per alcune intercettazioni, di fatto aveva anticipato un giudizio di merito sulle accuse. Il processo è passato nelle mani del Gup Wilma Mazzara che ha “bocciato” la tesi delle difese, secondo cui la prima incompatibilità, quella della Gelardi, renderebbe nulla l’intera fase dibattimentale. I legali non si arrendono e annunciano ricorso in Cassazione. Nel frattempo nessuno degli imputati lascerà il carcere.
Si tratta delle 42 persone coinvolte nel blitz della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra mobile che azzerò le famiglie della Noce, di Cruillas e di Altarello. Il mandamento sarebbe stato retto da Fabio Chiovaro e Franco Picone. Chiovaro, finito in carcere nell’ottobre del 2010, era stato costretto a farsi da parte fino a maggio del 2011. Una volta tornato in libertà si era ripreso lo scettro del comando. La prima faccenda da affrontare fu il conflitto con gli scissionisti. Un gruppo di ribelli, approfittando della sua assenza, aveva provato a scalzarlo. E si erano meritati l’appellativo di stiddari. Salvatore Seidita sarebbe stato alla guida del gruppetto dei ribelli, poi rientrati nei ranghi, composto da Giuseppe Sammaritano, Umberto Maltese e Antonino Bonura. La mappa del potere degli investigatori piazzava Gaetano Maranzano alla guida della famiglia di Cruillas, coadiuvato da Domenico Spica. Ad Altarello, invece, avrebbe comandato Vincenzo Tumminia.
I reati contestati nel processo vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dal traffico di droga all’interposizione fittizia, al possesso di armi. Cambiava la mappa del potere, ma l’imposizione del pizzo restava una costante per vecchi e nuovi boss. Tanti, troppi commercianti e imprenditori continuavano a pagare. Alcuni, però, trovarono la forza di denunciare. Ad esempio, i vertici della Magnolia fiction. Perché i boss erano andati a imporre la messa a posto persino sul set dello sceneggiato I Segreti dell’acqua con Riccardo Scamarcio.
Il processo proseguirà il 10 marzo con la requisitoria dei pm Amelia Luise, Gianluca De Leo e Francesco Del Bene.
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10 Febbraio 2014, 14:06