Processo depistaggio via D'Amelio| Parla il procuratore Giordano - Live Sicilia

Processo depistaggio via D’Amelio| Parla il procuratore Giordano

Il procuratore generale di Catania all'epoca era procuratore aggiunto a Caltanissetta.

CALTANISSETTA
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CALTANISSETTA – “C’era un contatto telefonico tra Paolo Borsellino e il procuratore Giovanni Tinebra. Seppi che avevano deciso di vedersi nella settimana che decorreva dal 20 luglio. C’era chi aveva ascoltato la frase di Borsellino, che avrebbe esclamato ‘adesso la palla passa a voi'”. A raccontarlo in aula, deponendo al processo sul depistaggio di Via D’Amelio, è il sostituto procuratore generale di Catania Francesco Paolo Giordano che all’epoca era procuratore aggiunto a Caltanissetta.

Nei giorni successivi alla strage – ha continuato Giordano rispondendo alle domande dell’avvocato Fabio Repici – non ricordo se ci occupammo dell’agenda rossa. All’epoca non ebbi contezza di questa agenda. Quando si insediò Fausto Cardella, si occupò lui di questa vicenda. Fin quando il maresciallo Carmelo Canale non parlò dell’importanza dell’agenda rossa, non avevo né contezza, né dubbi o sospetti di manipolazione. Demmo l’incarico di ricercare gli elementi dai quali si ricavava la presenza di questa agenda rossa. Fino a un certo punto si brancolava nel buio: non sapevamo se esisteva, e se esisteva dov’era finita”.

“Personalmente avevo grande fiducia nei confronti di Arnaldo La Barbera e dei suoi uomini perché in quel momento era considerato uno dei migliori investigatori in Italia. Sentendolo parlare capii che aveva grande preparazione sulla criminalità organizzata. Sapeva il fatto suo. Quindi non avevo nemmeno un sospetto sul fatto che La Barbera potesse aver fatto qualcosa men che corretta”. Lo ha dichiarato il sostituto procuratore generale di Catania Francesco Paolo Giordano, ex Procuratore aggiunto di Caltanissetta, tornando a deporre come teste questa mattina al processo sulla Strage di via D’Amelio nel corso del controesame.

“Scarantino – ha continuato Giordano rispondendo alle domande dell’avvocato Fabio Repici – era un personaggio sempre in bilico dal punto di vista mnemonico e di equilibrio. La valutazione che io mi sentii di fare all’epoca è che poteva essere plausibile un suo ruolo esecutivo nel reperimento dell’autovettura in quanto parente di Profeta, personaggio di spicco della criminalità. La seconda cosa è che personalmente riponevo fiducia sul fatto che se Scarantino fosse stato inattendibile la migliore garanzia sarebbe stata la giurisprudenza. I giudici avrebbero dovuto accertare se queste dichiarazioni erano attendibili o no e ci rimettevamo alla loro valutazione. L’ultima parola sarebbe stata la loro”. Giordano ha poi aggiunto: “All’epoca i colloqui investigativi erano stati introdotti da un decreto legge quindi le prassi applicative erano ancora nuove. Non si era consolidata una giurisprudenza o una prassi consolidata. I colloqui a Vincenzo Scarantino erano mirati all’approfondimento delle notizie che poteva dare”.

Mai ebbi l’impressione che qualcuno suggerisse le risposte a Vincenzo Scarantino. C’era semmai la questione di dirgli di stare attento alla sua memoria, che dicesse quello che ricordava. Ma che fosse imbeccato a dire cose false a me non risultava e se io avessi avuto il minimo sentore certamente sarei intervenuto”. L’ha detto il sostituto procuratore generale di Catania Francesco Paolo Giordano, ex Procuratore aggiunto di Caltanissetta, deponendo come teste al processo sulla Strage di via D’Amelio. Giordano, rispondendo alle domande dell’avvocato della difesa Giuseppe Panepinto, ha tenuto ancora una volta a sottolineare che riponeva grande fiducia su Arnaldo La Barbera: “Era un conoscitore della criminalità organizzata – ha detto – un ottimo investigatore, accreditato dalle forze di polizia. Per me era un funzionario assolutamente corretto”.

Il dibattito interno alla Procura di Caltanissetta sull’attendibilità del pentito Vincenzo Scarantino è stato al centro della deposizione del procuratore generale presso la Corte d’appello di Catania Roberto Saieva, nel corso del processo sul depistaggio della Strage di via D’Amelio. Rispondendo alle domande del procuratore Amedeo Bertone, il magistrato, che da gennaio a ottobre del ’94 fu applicato a Caltanissetta, ha ricordato che “quando nel settembre viene interrogato Vincenzo Scarantino, cominciano ad emergere dei momenti di criticità. Scarantino come è noto coinvolge dei soggetti come presenti alla nota riunione in casa Calascibetta, in particolare i collaboratori Cangemi, La Barbera, Di Matteo e Gangi. Ma in sede di ricognizione fotografica, pur avendo affermato di aver già incontrato questi soggetti, non fu in grado di riconoscere né La Barbera né Di Matteo. E quindi si rassegnò come un dichiarante da valutare con estrema attenzione. Emerse in buona sostanza – ha sottolineato Saieva – un giudizio quanto meno parziale di inattendibilità”. “A questo punto – aggiunge il magistrato – emergono posizioni differenti. Per la dottoressa Boccassini e per me era abbastanza palese l’inattendibilità mentre diversa era la posizione di Tinebra, Giordano e Petralia. Le diversità di vedute permanevano e quindi si decise di mettere nero su bianco le nostre impressioni da consegnare ai colleghi. La nota risale al 12 ottobre e fu inviata a Palermo perché a Caltanissetta pensavano che non venisse protocollata”.

Saieva ha poi aggiunto: “La paura che a Caltanissetta potesse essere non protocollata la dichiarazione firmata da me e dalla Boccassini, sul fatto che ritenessimo inattendibili le dichiarazioni di Scarantino, nasceva proprio dal contrasto, piuttosto aspro, che era nato con gli altri colleghi. Io e la dottoressa Boccassini volevamo che rimanesse traccia del fatto che avevamo espresso posizioni diverse e i fatti successivi ci diedero ragione”. Di tutt’altro avviso, sempre secondo la ricostruzione di Saieva, erano i procuratori Tinebra, Giordano e Petralia. “Il dottore Tinebra si era irritato – ha ricordato Saieva – per lui e gli altri si doveva fare di tutto per salvare la collaborazione di Scarantino superando gli elementi di criticità. Secondo loro c’era nelle dichiarazioni di Scarantino un nucleo centrale sul quale bisognava puntare. Il nostro era un giudizio di larga inattendibilità, salvai soltanto il segmento relativo al furto dell’autovettura che, secondo le originali dichiarazioni, a Scarantino era stato richiesto dal cognato Profeta”. (ANSA).

 


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