Idria, sentenza d’appello| attesa il 7 aprile

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26 Marzo 2016, 17:56

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CATANIA. L’insussistenza del reato associativo è stato l’elemento centrale delle arringhe dei legali di Vincenzo Musumeci, Riccardo Calabretta e Oualid Laabadi, i tre imputati principali del processo in appello denominato “Idria”. Accusati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e, a vario titolo, di detenzione illegale di armi da sparo e reati contro il patrimonio, sono stati condannati dal gup Giovanni Cariolo rispettivamente a 12 anni e 4 mesi, a 8 anni e a 9 anni e 4 mesi. Per Ernesto Pino, difensore di fiducia di Musumeci, ritenuto dall’accusa il capo promotore, non ci sarebbero nemmeno i livelli minimi di organizzazione per poter parlare di una struttura, seppur rudimentale. Lo dimostrerebbe, secondo il legale, l’assoluta incapacità, come emergerebbe dall’ordinanza del gip, di reperire un mezzo per l’acquisto di un ingente quantitativo di droga. Si tratterebbero, invece, di ipotesi di spaccio autonome. Secondo il difensore non ci sarebbe mai stato alcun accordo generalizzato per commettere reati della stessa natura con caratteristiche associative.

Analogo ragionamento per Giovanni Spada, difensore di fiducia di Riccardo Calabretta. Secondo il legale il rapporto intercorso tra Musumeci ed il proprio assistito può essere definito a chiamata. Sostanzialmente Calabretta sarebbe stato coinvolto solo occasionalmente per alcuni singoli episodi. Una tesi che sarebbe supportata, secondo la difesa, dal contenuto delle intercettazioni. Anche nel caso in cui si dovesse ritenere sussistente l’associazione, secondo Giovanni Spada, l’accusa per il proprio assistito potrebbe essere al massimo di concorso esterno.

Inconsistente, infine, per Maria Elisa Ventura, legale di Oualid Laaabadi, il ruolo all’interno del gruppo del proprio assistito. Il contenuto delle intercettazioni dimostrerebbe inequivocabilmente, secondo la difesa, che Vincenzo Musumeci non lo ritenesse affidabile. Per questo Laabadi sarebbe stato coinvolto solo in singoli episodi. Il giovane, inoltre, non avrebbe fornito alcun mezzo di sostegno alla presunta organizzazione non essendo in grado economicamente di dare alcun supporto.

Tutti i legali hanno chiesto l’esclusione del reato associativo.

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Chiesta, invece, l’assoluzione e, in subordine, la riqualificazione dei reati in spaccio di lieve entità per Davide Catanzaro, condannato in primo grado a 2 anni. Per il difensore di fiducia Michele Pansera le videoriprese compiute nel corso delle indagini non fornirebbero una prova chiara contro il proprio assistito, che potrebbe aver acquistato e non ceduto sostanza stupefacente non ben specificata.

Riduzione della pena e concessione delle attenuanti generiche sono state le richieste del legale Filippo Pino per Francesco Costa. Per il difensore i 2 anni e 6 mesi inflitti dal gup sarebbero sproporzionati rispetto alla collaborazione fornita dal proprio assistito, che ha ammesso davanti agli inquirenti l’acquisto di un chilo di marijuana. Chiesta, infine, l’assoluzione e, in subordine, una cospicua riduzione della pena per Francesco Bonaccorso, condannato a 3 anni e 6 mesi. Anche secondo il legale Nino Lattuca la condanna subita dal proprio assistito sarebbe sproporzionata rispetto al singolo episodio contestato. Il 7 aprile la sentenza.

 

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26 Marzo 2016, 17:56

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