18 Gennaio 2016, 13:10
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PALERMO – Alla fine la richiesta di condanna è 4 anni e mezzo per Mario Mori e 3 anni e mezzo per Mauro Obinu. Praticamente la metà di quanti ne furono chiesti nel processo di primo grado. Non importa sapere perché i due imputati avrebbero commesso il reato, ma basta, secondo l’accusa, avere accertato che l’abbiano commesso.
È il risultato della rivoluzione voluta da Roberto Scarpinato che si concretizza nella rinuncia a contestare ai due imputati l’aggravante mafiosa e quella della trattativa. Resta in piedi solo quella per avere commesso il reato ricoprendo la qualifica di pubblico ufficiale. Guai, però, a credere che sia un punto a favore che l’accusa riconosce agli imputati, accusati di avere fatto fuggire il capomafia Bernardo Provenzano.
Nel corso della requisitoria al processo d’appello contro gli ex vertici del Ros dei carabinieri Scarpinato ribadisce la nuova impostazione anticipata nel novembre scorso. Il suo è un taglio netto con quanto sostenuto in primo grado dalla Procura della Repubblica e cioè che la mancata cattura di Provenzano nelle campagne di Mezzojuso fosse uno dei tasselli del patto che pezzi dello Stato avrebbero stretto con Cosa nostra negli anni delle stragi mafiose. Un’impostazione bocciata dal Tribunale che aveva mandato assolti il generale Mori e il colonnello Obinu.
E così ora il procuratore generale Scarpinato e il sostituto Luigi Patronaggio hanno deciso di cambiare strategia: niente più favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato la mafia e finalizzato al perseguimento della trattativa, ma la contestazione secca di avere agito violando i doveri connessi alla loro funzione. “Tenteremo di semplificare – ha detto Scarpinato – e di ridare al processo quella vita autonoma che, renderlo una costola del processo trattativa, gli aveva tolto”.
Di fatto l’accusa tenta di slegare gli episodi contestati ai due imputati dal loro movente. Secondo i pm di primo grado, malgrado i carabinieri fossero a un passo dalla cattura del padrino corleonese fecero un passo indietro in nome della ignobile ma presunta trattativa che costitutiva il movente del mancato blitz.
Ecco il passaggio rivoluzionario: prescindere dalla necessità di dimostrare il movente perché “la legge non lo richiede” e concentrarsi sul fatto che, secondo il pg, resta comunque grave, anzi gravissimo. Non a caso Scarpinato ritiene che lo scopo di Mori, nel commettere il presunto reato, è molto più complesso di quello evidenziato nella prima impostazione. Va analizzato alla luce di anni di “manipolazioni, falsi documentali e condotte che hanno oltrepassato i limiti della legalità e giustificate con l’adempimento del dovere”. Scarpinato parla di un comune denominatore, dunque, nella carriera di Mori che si evidenzia a partire dalla mancata perquisizione del covo di Riina, per continuare col mancato arresto del boss Nitto Santapaola e poi col fallito blitz in cui, per l’ accusa, si sarebbe potuto catturare Provenzano il 31 ottobre del 95. Azioni caratterizzate da “menzogne reiterate”.
Nel novembre scorso, quando Patronaggio anticipò la scelta processuale spiegò che “ci apprestiamo a fare questa operazione di salto critico della prova che vogliamo incentrare su fatti concreti. E ciò facciamo non perché non crediamo in questo groviglio istituzionale che è la trattativa, o perché non crediamo nell’esistenza di zone oscure, ma perché una volta per tutte dobbiamo uscire da questo empasse processuale per cui tutte le condotte che gli imputati hanno commesso nel tempo in modo seriale sono tutte riconducibili a condotte di tipo colposo. Qui invece noi vogliamo concentrarci su poche condotte, dimostrare che esse sono dolose, e non ci interessa dimostrare altro”.
La trattativa, dunque, senza entrare nel merito della valutazione di essa, viene vista come zavorra del processo Mori-Obinu che, da solo, basterebbe a dimostrare l’infedeltà dei due ufficiali dei carabinieri. E nella seconda parte della sua requisitoria, Scarpinato apssa in rassegna tutte le accuse che la Procura generale intende muovere nei confronti di Mori e Obinu: piste investigative mai battute, omissioni gravi nelle comunicazioni alla Procura, inerzia dolosa. Scarpinato entra anche nel merito dell’impianto accusatorio parlando del cosiddetto mancato blitz che nel 1995 avrebbe dovuto portare ala cattura del boss corleonese. Il pg ha accusato i due imputati di avere per mesi trascurato volutamente le indicazioni fornite al colonnello Michele Riccio dal suo,confidente Luigi Ilardo. E di avere taciuto alla Procura gli elementi che avrebbero potuto portare all’identificazione dei favoreggiatori del boss.
La carriera di Mori, dunque, sarebbe stata caratterizzata da una “deviazione costante dai doveri istituzionali e dalle procedure legali” volta ad assecondare inconfessabili interessi extraistituzionali. Un filo rosso, per Scarpinato, legherebbe diversi avvenimenti che videro Mori protagonista: come la mancata perquisizione del covo del boss Totò Riina. “Se Mori avesse avvertito la Procura che stava per sospendere il servizio di osservazione al covo – ha detto – la Procura avrebbe immediatamente perquisito il nascondiglio scoprendo documenti scottanti che avrebbero potuto svelare i segreti di un potere che, declinando i volti di uomini dello Stato come Andreotti, per decenni avevano avuto rapporti con Riina”. Scarpinato vede nelle condotte di Mori “una omogeneità e il fine di assecondare interessi extraistituzionali”. E la mancata comunicazione alla Procura delle informazioni che avrebbero potuto portare alla cattura del boss Bernardo Provenzano, per cui Mori e’ sotto processo, non sarebbe che la manifestazione di quanto il generale ha sempre fatto: deviare dalle regole per assecondare interessi extraistituzionali. E poi ancora un giudizio sull’ex ufficiale: “Soggetto dalla doppia personalità e dalla natura anfibia”.
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18 Gennaio 2016, 13:10