01 Ottobre 2013, 06:00
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CATANIA – Una nuova perizia collegiale per stabilire con certezza l’identità di chi scrisse i due “pizzini” con cui veniva dato l’ordine di uccidere il magistrato della Dda etnea Pasquale Pacifico. E’ questo il cuore dell’ultima udienza del processo a carico del boss Orazio Finocchiaro. L’uomo, attualmente detenuto nella casa circondariale di Tolmezzo (UD), secondo gli inquirenti per scalare la gerarchia del clan mafioso dei Cappello “Carateddi” commissionò proprio dal carcere un omicidio eclatante per vendicare il lavoro e i grandi risultati del magistrato napoletano che con l’inchiesta “Revenge” dell’ottobre 2009 aveva inferto un colpo durissimo ai “giovani leoni della mafia”. Una vicenda inquietante nei metodi e nel linguaggio utilizzato “sparagli 32 colpi in testa, noi ti facciamo avere tutto”, si leggeva in uno dei pizzini sequestrati.
L’udienza. Il Presidente della quarta sezione penale del Tribunale di Catania, Rosario Grasso, ha accolto la richiesta di una nuova perizia collegiale avanzata dai due sostituti procuratori rappresentanti dell’accusa, Giovannella Scaminaci e Antonella Barrera. La precedente valutazione, che era stata disposta ad un singolo esperto, è stata ritenuta dall’accusa “carente”. Il perito, hanno sottolineato i pm, “era chiamato a rispondere a quesiti di ordine tecnico, basati su una comparazione; tuttavia si è sconfinato in apprezzamenti riservati al giudicante”. Il nuovo collegio chiamato ad effettuare la perizia grafologica verrà nominato durante la prossima udienza. Da valutare, come detto, c’è la paternità dei pizzini che all’epoca dei fatti sarebbero stati scambiati dallo stesso Finocchiaro con un altro detenuto, Giacomo Cosenza, ormai prossimo alla scarcerazione e formalmente, secondo l’accusa incaricato di commettere l’omicidio. Per quest’ultimo, dalla cui rivelazioni si è scoperto il presunto progetto mortale ideato da Finocchiaro, tuttavia non è stato preso nessun provvedimento a suo carico.
Nel fascicolo dei pm, è stato reso noto durante l’udienza, sono finite anche alcune intercettazioni ambientale risalenti al 30 settembre 2011, utili, secondo l’accusa per dimostrare l’abilità di Finocchiaro nell’impartire ordini nonostante il regime detentivo. In quell’occasione le cimici degli investigatori captarono la voce di Maria Bonnici, madre proprio di Orazio Finocchiaro, all’interno dell’abitazione di Giovanni Musumeci, allora agli arresti domiciliari. La donna, poi arrestata, venne intercettata intenta a leggere una missiva con cui il figlio stabiliva compensi per gli affiliati: “Vedi che quello ha pure suo figlio è in carcere e con mille euro sua moglie non ci puo arrivare mai” e spostamenti di uomini nella gestione degli stupefacenti “non è piu “compagno” nostro e lo mandi a rubare macchine di nuovo”.
Altro elemento ritenuto di fondamentale importanza dall’accusa per ricostruire il ruolo di Finocchiaro è un pizzino risalente al 2010 e consegnato dagli inquirenti dal collaboratore di giustizia Natale Cavallaro. Nella missiva, spedita a Cavallaro durante un periodo di detenzione nel carcere di Piazza Lanza, una parte sarebbe stata scritta di pugno proprio da Finocchiaro. Un metodo per comunicare, secondo gli inquirenti, il ruolo di vertice assunto dal boss dopo l’arresto di Sebastiano Lo Giudice “Iano Carateddu”: “di ora in poi vedi che le cose le decido io dentro e fuori per tutto e tutti”.
Alla richiesta di una nuova perizia collegiale, nonostante la difesa abbia fatto riferimento a una “sensazione di delusione da parte dell’accusa”, non si sono opposti gli avvocati di Finocchiaro, Giuseppe Strano Tagliareni e Giuseppe Marletta “Abbiamo l’interesse – ha spiegato Strano Tagliareni durante l’udienza – che la vicenda venga chiarita presto e nel migliore dei modi”.
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01 Ottobre 2013, 06:00