26 Dicembre 2016, 07:01
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CATANIA – Quattro siciliani su dieci sono a rischio di povertà o esclusione sociale. La nitida fotografia scattata dai dati Istat ci presenta il Paese reale. Un Paese trascurato e arrabbiato che abbiamo ogni giorno davanti agli occhi. I capannelli di persone in fila all’help center della Caritas che attendono un pasto caldo, il ceto medio eroso dalla crisi economica che sfiora l’indigenza, i giovani qualificati che cercano un lavoro per non pesare più sulle spalle dei loro genitori ormai canuti, famiglie che dormono in auto perché hanno perso la propria abitazione. Scrostando la patina della narrazione ottimista, rimane la miseria. A dispetto di qualche posizione guadagnata nella classifica per la qualità della vita, anche Catania soffre. Non da oggi, ovviamente. Gli strascichi della crisi hanno ridisegnato gli utenti dei centri Caritas: italiani dell’ex ceto medio che hanno perso il posto di lavoro. Una tendenza ormai consolidata. “A Catania registriamo un peggioramento che si aggira intorno al 150% nel corso degli ultimi cinque anni e temiamo che possa andare sempre peggio”, spiega Salvatore Pappalardo, referente delle attività della Caritas etnea. Quest’anno i “passaggi” dalla mensa sono stati 69000, 516 i nuovi utenti del centro ascolto (circa 1300 in un anno) e 28160 gli ingressi per fruire della colazione.
I dati si riferiscono al 2016, dicembre escluso. “C’è un aumento rispetto allo scorso anno anche perché ci sono più servizi, uno di questi è la rete sanitaria cioè un ambulatorio, gestito da medici volontari della Caritas, che due volte a settimana offre visite mediche agli utenti”, dice Pappalardo. Anche le cifre giornaliere rendono chiaro lo spaccato della realtà catanese: in media ogni giorno dodici persone si recano al centro ascolto, 110 fruiscono della colazione e 270 del servizio mensa. La fascia d’età che conta più presenze nei centri ascolto è quella che va dai quaranta ai sessant’anni.
Pappalardo non ci gira intorno. “Sono numeri allarmanti”, dice, commentando i dati. L’utenza è variegata e va dai catanesi senza lavoro ai migranti europei e africani passando per persone separate fortemente indebitate. “Soprattutto negli ultimi due anni registriamo l’aumento della povertà riferito all’ex ceto medio, persone che prima avevano un lavoro e oggi soffrono la precarietà”, spiega il referente. In molti casi alla perdita del posto di lavoro si somma la separazione dal congiunto. I casi di separazioni sono “triplicati rispetto allo scorso anno”. “Molte donne non lavorano e ci chiedono una mano per pagare le bollette, molti mariti sono disoccupati e devono pagare gli alimenti, ma non ci arrivano”. “E se il nucleo familiare aveva acquistato una casa e non può più pagare il mutuo spesso si ritrova a dormire in macchina, si vive ai margini”, dice Pappalardo.
Nei gruppi appartamento trovano rifugio molti mariti separati, ma i posti non sono sufficienti a coprire le richieste. “Purtroppo i centri di accoglienza della Caritas riescono a sopperire a 80 posti letto, ma la domanda è di 350 posti letto minimo”. “Molte persone dormono in auto perché avevano acquistato casa, ma sono state licenziate dall’oggi al domani oppure non percepiscono stipendi, come nel caso di alcune cooperative, da decine di mesi”, racconta. “La situazione è pesante e non ci sono prospettive, da un punto di vista lavorativo cerchiamo attraverso il microcredito di avviare cooperative ma sono mosche bianche, le banche non vogliono o non possono erogare credito, molti hanno alle spalle indebitamenti e fallimenti e per questo sono esclusi dai circuiti tradizionali”, spiega il referente. Ci sono anche tanti migranti, molti dei quali vivono nel limbo dell’attesa, complice una burocrazia elefantiaca e lenta. “Ci sono molti problemi burocratici nei ritardi delle concessioni dei permessi di soggiorno o delle richieste asilo; tanti ragazzi si trovano a transitare qui perché c’è un disbrigo pratiche lento, si tratta di persone che vorrebbero andare all’estero perché sono consapevoli che qui non ci sono possibilità di lavoro”. E invece si trovano a sostare qui, in condizioni difficili, per troppi mesi. “I centri di accoglienza sono strapieni”, spiega Pappalardo. E nel frattempo le file alla Caritas s’ingrossano.
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26 Dicembre 2016, 07:01