Profumo di Palermo

di

21 Aprile 2013, 09:49

4 min di lettura

Il Progetto Erasmus è una benemerita iniziativa, nata per favorire l’integrazione europea, che consente a uno studente universitario di seguire una parte del corso presso un Ateneo di un altro Paese membro della Comunità. A giudicare dalla foto che ho appena ricevuto e che ritrae uno studente bavarese di qualche anno fa con una sciarpa rosanero al collo e una splendida neonata tra le braccia, il progetto Erasmus funziona benissimo. Nelle scorse settimane il mio reparto ha ospitato tre studentesse rumene con cui tutti abbiamo fraternizzato. Abbiamo così appreso che la Transilvania, la loro regione di provenienza a me nota solo per il Conte Dracula, ha una lunga e tormentata storia che ricalca per alcuni versi quella della Sicilia con un’alternanza di dominazioni che spiega la cospicua minoranza di lingua ungherese, di cui esse stesse fanno parte.

L’ultimo atto del loro internato, ossia gli esami di profitto, è avvenuto lunedì pomeriggio. Dopo le formalità ed i saluti di rito, le ho congedate con la fondata speranza che avrebbero conservato un buon ricordo della loro esperienza palermitana. Mi attardo un po’ nella mia stanza per controllare la posta, un rapido giretto in reparto per le ultime novità e poi esco per tornare a casa. E’ passata quasi mezz’ora dal congedo. Imbocco la corsia laterale della circonvallazione e, con la coda dell’occhio, vedo sulla mia destra le tre ospiti con la mano davanti al volto alla fermata dell’autobus. Il marciapiede è impraticabile, così come la panchina che è sommersa da una montagna di rifiuti che giunge quasi all’altezza della pensilina. Per un attimo carezzo l’idea di fermarmi e di riportarle con tante scuse nella casa che hanno preso in affitto dall’altra parte della città. Mi costerebbe un’ora di “ciaffico”. Ma in compenso, piuttosto che di “munnizza”, al loro ritorno in Romania forse parlerebbero di Palermo come di un posto in cui i professori offrono un passaggio agli studenti in attesa alla fermata persino quando le rispettive destinazioni divergono. Desisto subito perché l’automobilista già incollato al mio paraurti posteriore mi rimprovera con l’isterico strepitio del clacson e soprattutto perché mi assale un insopprimibile senso di vergogna.

Articoli Correlati

Io mi vergogno di vivere in una città che un giorno odorava di gelsomini e che adesso puzza del tanfo delle montagne di immondizia lasciate a marcire sotto il sole o bruciate dal fuoco purificatore (si fa per dire) dei falò appiccati dai suoi cittadini più esasperati. La città in cui il nome “Conca d’oro” non evoca più il profumo delle zagare, ma un anonimo centro commerciale che ha cannibalizzato decine di attività limitrofe. Io mi vergogno di vivere in un posto in cui le lotte sindacali si combattono sempre e soltanto sulla pelle dei concittadini con il danno, non proprio ininfluente, di catalizzare la metamorfosi della doverosa solidarietà in stizzita ostilità. Io mi chiedo quale Autorità avrebbe potuto intervenire per risparmiare alla città questo disagio e questa vergogna. A chi tocca difendere gli interessi dei tanti operatori turistici ed il decoro stesso della nostra comunità ? Forse al sindaco ? Ah certo, non potevo sperare in quello di prima, il tennista armatore che con le francescane missioni AMIA a Dubai voleva esportare il modello palermitano di gestione dei rifiuti. Però confidavo nel nuovo, il famoso “nuovo che avanza”, che si vantava di saper fare il sindaco e che a me pare se ne sia dimenticato. Quale Prefetto, quale Autorità di Protezione Civile o di tutela della Salute Pubblica, quale Magistrato? Mi domando, io che da medico ospedaliero sono sottoposto a sacrosanti limiti nell’esercizio del mio diritto di sciopero, cosa configuri il reato di interruzione di pubblico servizio e, da semplice cittadino, quale servizio mi sia reso in cambio del pagamento di una tassa sui rifiuti sempre più esosa. In questa città “senza”, siamo ormai così abituati al sopruso e al “farne a meno” che non ci indigniamo più neppure quando i nostri diritti e il nostro decoro sono così pesantemente ed impunemente violati.

Va beh, passo avanti ché s’è fatto tardi. Le ragazze sono profili sempre più piccoli nel mio specchietto e dell’autobus non c’è traccia. Sono già alla successiva collina di rifiuti. Un cane randagio e un “cartunaro” con “lapino” d’ordinanza si danno da fare in mezzo a tutto quel ben di Dio. Sotto il parabrezza del “lapino”, l’immancabile asso di mazze; sulla fiancata la scritta: “La tua invidia è la mia fortuna”. Mi dà sollievo il pensiero che in questa città “senza”, la mia Palermo odorosa, possa sopravvivere un inguaribile ottimista.

Pubblicato il

21 Aprile 2013, 09:49

Condividi sui social