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Prolungamento Galatea – Stazione |Tar dà ragione alla Ciro Menotti

Il tribunale catanese dà ragione alla ditta, difesa dall'avvocato Claudio Vinci, nel procedimento per l'annullamento dell'aggiudicazione definitiva dei lavori.

METROPOLITANA
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CATANIA – Vince al Tar la Ciro Menotti. Il tribunale catanese dà infatti ragione alla ditta, difesa dall’avvocato Claudio Vinci, nel procedimento per l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva della procedura aperta per la progettazione esecutiva e i lavori relativi al “Prolungamento della rete ferroviaria nella tratta metropolitana dalla stazione Galatea (esclusa) alla stazione Giovanni XIII (inclusa)”.

Nella procedura, si legge nella sentenza, “rimasero in gara solo la ricorrente e la controinteressata, quest’ultima dichiarata aggiudicataria il 19 giugno 2014.  La seconda classificata (con punteggio di 82,851), costituenda Ati tra il Consorzio nazionale di cooperative di produzione e lavoro “Ciro Menotti” s.c.p.a., capogruppo, e la Sirti s.p.a., odierna ricorrente”, ha proposto  ricorso che è stato respinto dal Tar con la sentenza 1115 del 2015, “con la quale veniva ritenuto infondato il primo motivo di impugnazione, teso a contestare l’omessa individuazione dei criteri motivazionali per l’attribuzione del punteggio, ed inammissibile il secondo motivo, col quale si contestava la manifesta illogicità dell’attribuzione del punteggio relativo al piano di gestione dei materiali”.

Una questione di punteggi e della loro attribuzione, dunque. Secondo il giudice, “la circostanza che due commissari abbiano assegnato zero punti al piano di gestione materiali offerto dalla ricorrente non evidenziava alcun profilo di abnormità o irrazionalità, essendo l’attribuzione di zero punti connaturale al meccanismo di valutazione in cui, oltre alla possibilità di attribuire punti 1 in caso di parità, la commissione attribuisca a un concorrente la preferenza massima e conseguentemente zero punti all’altro concorrente”.

La sentenza è stata riformata in appello, con decisione 193 del 2016.  “Il CGA – si legge ancora – osservava che il disciplinare di gara, oltre che criteri e sottocriteri di valutazione, aveva indicato i relativi pesi e sottopesi ed ulteriori sottocriteri, cui, però, non era stato assegnato un peso predeterminato tra un minimo e un massimo”.

In sintesi, in fase di valutazione dei requisiti per l’assegnazione dei punteggi, secondo la ditta ricorrente, non sarebbero stati valutati tutti gli elementi e i sottoelementi. Da qui la pronuncia del Cga che annulla la sentenza del 2015 emessa dal Tar. La Commissione non avrebbe di fatto rispettato alcuni criteri, rispettando “solo apparentemente il bando” si legge. “Nel presente caso di utilizzo del metodo di confronto a coppie – riporta ancora il documento –  la mancanza di una compiuta individuazione, in termini di rispettivo peso, di tutti criteri motivazionali specificati, ossia della configurazione di una “griglia” autenticamente sufficiente, da un lato non consente di giustificare l’attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica e, dall’altro, impedisce una effettiva ricostruzione dell’iter logico seguito nella verifica delle offerte dal punto di vista tecnico. Ne deriva, proprio in conformità al costante orientamento giurisprudenziale richiamato dallo stesso Tar, che si rendeva necessaria da parte della commissione un’estrinsecazione logico argomentativa della preferenza accordata ad una piuttosto che ad altra offerta in relazione al singolo sottoelemento di valutazione”.

Insomma, per il Cga non solo i criteri nell’assegnazione dei punteggi non avrebbero tenuto conto di certi elementi, ma l’attribuzione degli stessi non sarebbe stata sufficientemente argomentata, non rendendo evidente il criterio utilizzato dalla commissione stessa. “Avendo ritenuto fondata la censura di cui al primo motivo del ricorso di primo grado, il secondo motivo del ricorso di primo grado veniva dichiarato assorbito”.

Ma non è tutto. “Con il ricorso introduttivo del presente giudizio il consorzio ricorrente espone che, in pretesa ottemperanza alla decisione del CGA, è stata riconvocata la commissione di gara la quale, sostanzialmente, fermo il risultato già stabilito, ha adattato a tale decisione un simulacro di motivazione, che non consentirebbe a tutt’oggi di capire per quale ragione sia stata ritenuta migliore l’offerta dell’aggiudicataria, che nel frattempo ha ultimato i lavori. Continua a non essere comprensibile per quale motivo in relazione agli elementi indicati in disciplinare un’offerta sia stata ritenuta migliore dell’altra”.

Non solo. Altro oggetto del contendere è l’interdittiva antimafia a carico della Tecnis e della Dam, società del raggruppamento di imprese che ha realizzato l’opera.  “Con il terzo motivo si lamenta la mancata revoca dell’aggiudicazione – si legge ancora: infatti, una volta che per effetto dell’annullamento la gara era regredita alla fase di valutazione tecnica delle offerte, l’Amministrazione ha preso contezza del fatto che erano state emesse due interdittive a carico della Tecnis, mandataria del Rti aggiudicatario, nonché di altra impresa del raggruppamento, la DAM. In questi casi, posto che il codice degli appalti stabilisce che, nel pronunciarsi sul mantenimento o sulla revoca del contratto, bisogna tener conto dello stato delle opere, nel caso specifico l’Amministrazione ha deciso di non revocare il contratto (scelta che il legislatore considera recessiva) senza spiegare perché, chiarendo ad esempio che lo stato dei lavori era tale da non poter consentire lo scioglimento del contratto e il subentro della seconda graduata la quale, peraltro, in giudizio aveva espressamente chiesto il subentro”.

In relazione alle interdittive, viene richiamata la nota del RUP “contenente la proposta di aggiudicazione definitiva, pur prendendo atto dell’esistenza di cause ostative, emerse in sede di espletamento delle verifiche di legge a carico della DAM S.p.A. Studi Ricerche Progetti, ha ritenuto non doversi disporre il recesso dal contratto, “essendo i lavori in fase di ultimazione”. Motivazione non ritenuta valida dal ricorrente”.

Secondo il giudice “Una volta assodato che l’interdittiva era effettivamente esistente alla data di definizione della gara, l’Amministrazione non avrebbe potuto limitarsi a disporre la prosecuzione del contratto adducendo l’avanzato stato dei lavori, avuto riguardo al disfavore leg islativo per detta soluzione ed alla necessità di una congrua motivazione tale da consentire la verifica anche in sede giurisdizionale degli elementi di fatto addotti dall’amministrazione”. Da qui, l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’amministrazione resistente.

 

 


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