14 Luglio 2016, 06:00
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PALERMO – Bernardo Provenzano fa più paura da morto che da vivo. Se per vivo si intende l’ultima fase della sua esistenza carceraria. Era un vegetale, o quasi, come hanno scritto i medici, rinchiuso al 41 bis.
La ferocia del boss sanguinario sarà sepolta con il suo corpo, ma alla morte sopravviverà, volendo usare le parole dell’ultimo magistrato che due giorni fa gli ha confermato il carcere duro, il “valore simbolico del suo percorso criminale”.
Il questore di Palermo, Guido Longo, annuncia che vieterà i funerali pubblici. Di più non aggiunge perché, dice, “di solito non commento la morte di qualcuno”.
Commenta, invece, con durezza il sindaco di Corleone, Lea Savona: “La morte di Bernardo Provenzano è una liberazione. Se la famiglia deciderà di seppellire il boss nella sua città natale potranno andare direttamente solo al cimitero. Non permetterò alcuna strumentalizzazione”. E lo dice mentre una commissione ministeriale sta accertando se ci siano infiltrazioni mafiose nell’amministrazione che lei guida.
Il senatore Giuseppe Lumia guarda oltre: “Bisogna evitare che compaia il volto affascinante del ‘capo buono’, che venga disinnescato preventivamente ogni tentativo del genere”. Ed estende le sue parole ai parenti del boss, affinché si evitino “possibili comparizioni in tv di un figlio di Provenzano, evitando proclami di mafia come è stato fatto purtroppo nel caso del figlio di Riina”.
Qualcuno si chiede cosa significhi per Cosa nostra la morte di Provenzano. Nessuno ha la palla di vetro, ma è molto probabile che nulla cambi. Primo perché il Provenzano gravemente malato degli ultimi anni non poteva certo incidere operativamente. Secondo, perché il vero capo, Totò Riina, è ancora vivo. Vivo, ma operativo? Di lui conosciamo i dialoghi con un compagno di cella. Dialoghi che per alcuni suonano come una chiamata alle armi, mentre per altri sono solo gli sfoghi rabbiosi di un uomo in cella che ha perso lucidità. Altri credono pure che il libro del figlio, Salvuccio, contenga chissà quali messaggi per l’esterno.
Nella mafia di oggi forse dei vecchi padrini sopravvive solo il mito. E anche questo vacilla. Alcuni mafiosi intercettati, di recente, vedevano nella morte degli anziani boss il possibile inizio di una nuova fase per Cosa nostra. Come se Riina e Provenzano fossero diventati una zavorra: “E se non muoiono tutti e due luce non ne vede”.
Una cosa appare certa. Provenzano era l’immagine di una mafia, quella corleonese, sconfitta. Resta aperto un dibattito, sollevato da più parti. E cioè se lo Stato, dopo avere vinto, abbia scambiato la giustizia per vendetta, obbligando un uomo malato al 41 bis. Questa, però, è un’altra storia. Nel frattempo c’è da combattere un simbolo.
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14 Luglio 2016, 06:00