14 Febbraio 2014, 13:22
5 min di lettura
L’abolizione delle provincie in Sicilia, ed il dibattito sulle modalità e sulla creazione di soggetti istituzionali alternativi, crediamo riesca oggi di ostica comprensione per l’opinione pubblica. Sulla base di tre motivi: intanto viene difficile giustificare perché si utilizzi tempo prezioso, su quelli che almeno a prima vista appaiono solo cavilli legislativi, piuttosto che pensare a temi prioritari come quelli dell’occupazione o degli aiuti alle imprese.
Il secondo motivo nasce dallo “specialismo” della materia trattata, conosciuta (?) nei tavoli romani, ma non certo in assemblee pubbliche siciliane. Il terzo motivo è costituito dal fatto che così come la vicenda viene raccontata nelle cronache parlamentari non permette di riuscire bene a intuire gli interessi in gioco.
Per offrire materiali di conoscenza al giudizio dei lettori dobbiamo partire da alcune indispensabili definizioni. Quando si parla di area vasta si pensa ad un superamento, utile per pratiche di pianificazione, della dimensione locale, alla ricerca di più ampie relazioni che permettano di ottimizzare risorse nel quadro di una programmazione strategica del territorio e di una specializzazione produttiva. Ben più complesso è il concetto di area metropolitana: un’agglomerazione o una conurbazione che per i vari servizi dipende dalla città centrale (metropoli). Terzo termine, il più importante per quel che ci riguarda insieme a quello dei liberi consorzi di comuni: la città metropolitana che sulla base del ddl Delrio può istituirsi solo in aree metropolitane. Ne sono state identificate quindici (tra cui Palermo, Catania e Messina) che saranno destinatarie di importanti finanziamenti europei. Nella nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020 è stato infatti inserito un nuovo Programma operativo nazionale (PON) “Città metropolitane” che destinerà a ciascuna città del Sud dagli 80 ai 100 milioni da utilizzare per la modernizzazione dei servizi urbani, attraverso piani di investimento per il miglioramento delle infrastrutture di rete e dei servizi pubblici. Inoltre, per le Città delle Regioni meno sviluppate il PON potrebbe sostenere alcuni interventi e sperimentazioni per l’inclusione sociale, rafforzando e innovando le politiche ordinarie dell’abitare anche con il coinvolgimento del tessuto associativo e dell’economia sociale.
Quanto ai Liberi Consorzi di comuni, questi dovrebbero sostituire le attuali province con funzioni di governo di area vasta. Organi di governo con autonomia amministrativa e finanziaria ma non politica (viene sottolineato dagli esperti), eletti con sistemi indiretti di secondo grado. Resta da citare un unicum: l’area integrata dello Stretto, derivante dall’unione di due città metropolitane: Messina e Reggio Calabria (quest’ultima sotto osservazione perché attualmente commissariata per infiltrazioni mafiose nel Comune). Un’idea affascinante come quella del Ponte sullo Stretto (anche dell’Area dello Stretto se ne parla dagli anni ’70 e guarda caso fu proprio uno dei due autori di questo pezzo a lanciarla in una ricerca condotta per contro del Formez insieme al prof. Giuseppe Campione, già ex Presidente della Regione Siciliana), ma al momento purtroppo buona solo per organizzare seminari.
Proviamo ad identificare gli interessi in gioco. Apparentemente gli obiettivi da raggiungere sono due: riformare le Province sostituendole con i Liberi Consorzi e strutturare la “governance” delle città metropolitane e degli stessi Liberi Consorzi. C’è un terzo obiettivo sottinteso. Se città metropolitane devono essere, questo vuol dire prevedere per loro dimensioni significative in termini di territorio, popolazione, rete di servizi. Nella competizione internazionale, infatti, i territori piccoli, demograficamente ed economicamente, non sono riconoscibili, e perciò difficilmente attraenti. Per diventarlo devono raggiungere una massa critica, in termini di dimensioni territoriali e demografiche, che consenta una maggiore produttività dei servizi, derivante dall’integrazione e dalla specializzazione delle funzioni, ed un profilo più spendibile in termini di marketing territoriale.
Facciamo un esempio: Messina è una città con 240 mila abitanti. Premesso che, come abbiamo visto, non ci sono al momento concrete possibilità per una sua conurbazione con Reggio Calabria, per assurgere al ruolo di città metropolitana deve presentarsi ad un virtuale esame con un buon numero di comuni che aderiscano alla nuova istituzione. E lo stesso vale per Catania e Palermo. Ma l’abbassamento a livelli minimali della soglia per costituire i Liberi Consorzi (150 mila abitanti e contiguità territoriali) ovviamente solletica mai sopiti municipalismi. Nella provincia di Messina già si pensa, ad esempio, a tre liberi consorzi vista la bassa dimensione di popolazione necessaria per costituirli. Catania è circondata da centri urbani con forte connotazione autonomista. Mentre Palermo (Madonie a parte) è forse l’unica vera città metropolitana della Sicilia che potrebbe resistere all’assalto dei Liberi Consorzi.
Siamo alle considerazioni finali. Dietro la corsa ai liberi Consorzi alla faccia delle città metropolitane si nascondono precisi interessi elettorali: non c’è deputato oggi all’Assemblea Regionale che non debba dare conto a questo o quel sindaco che ha contribuito alla sua elezione, che non debba battersi perché il suo luogo nativo non coroni l’aspirazione di potersi pregiare capoluogo di un libero consorzio, che possa trascurare la futura sistemazione dei suoi sodali negli enti di governo la cui possibilità è correlata alla loro moltiplicazione. Ne derivano due spinte che svuotano di significato le città metropolitane ed i Liberi Consorzi. Ridimensionando le prime a danno della possibile “cattura” di finanziamenti e rendendo i secondi un organo da eleggere con forme complesse difficili da decidere, come finora avvenuto, poiché ogni deputato subordina la soluzione al peso politico che potrà conservare o recuperare in questi organi, teoricamente istituiti per sostituire le province, abolendone i costi e quindi, in teoria, con organici e compiti minimali.
Una ulteriore distorsione.E’ facile prevedere una futura trama di passaggi di un comune dall’adesione alla città metropolitana alla fuga verso il Libero Consorzio. Con alla base analisi costi-benefici, previsioni demografiche, scelte basate sulle caratteristiche del territorio? Ne dubitiamo fortemente. L’eliminazione delle province avrebbe dovuto rappresentare risparmi e razionalizzazione dei livelli di governo. Come spesso accade, buoni propositi si trasformano in decisioni a forte caratterizzazione clientelare. E’ il caso di dire: Liberi tutti.
E’ giusto, torniamo all’inizio del pezzo, dare priorità ad una discussione defatigante basata solo su una mancata convergenza verso interessi comuni? Purtroppo, in certi momenti, è come se la politica prevalesse sull’economia. Non è solo, con lo sguardo rivolto a recenti avvenimenti, una peculiarità siciliana.
Pubblicato il
14 Febbraio 2014, 13:22