26 Giugno 2016, 07:01
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CATANIA – È un sali e scendi che dice tutto e il contrario di tutto, quello delle Amministrative 2016. Il dato vero è che il Pd, come forza di governo a Roma, a Palermo e sostanzialmente in provincia, non solo non vince, ma riesce nell’improbabile triangolazione di essere contemporaneamente anche forza di lotta, a sé stesso. I veri vincitori restano i civici (vedi D’Anna a Giarre); i 5 Stelle (che con Grammichele sfondano una piazza fin nel midollo democristiana); e quanti nei loro territori sanno montare e rismontare le coalizioni ufficiali. Appunto per questo il posizionamento dei singoli ras diventa il solo fatto intellegibile di questa tornata. Ed è lì che l’ascensore della politica locale si dimostra l’unico termometro ben tarato in vista delle Regionali 2017 e del referendum costituzionale (sì, c’è anche quello) di ottobre. Ecco il punto.
C’ERA UNA VOLTA IL PD
Il Pd perde, anzi prende una batosta senza paragoni. Su quattro comuni al voto nel catanese non piazza nemmeno un sindaco e riesce nell’impresa di frammentarsi ulteriormente al suo interno. Le amministrative diventano una scusa per conte interne e gli elettori presentano un conto salato. Al segretario Napoli, sconfitto su tutta, tocca l’arduo compito di rimettere insieme i cocci.
ENZO NAPOLI: UN GENERALE SENZA ESERCITO
Il segretario provinciale sembra un generale senza esercito. Nei comuni dove riesce a ottenere la convergenza della truppa su un solo candidato, non ottiene nessun primo cittadino. A Giarre poi accade di tutto. La mediazione su un unico candidato non gli riesce. Davanti alla spaccatura sul simbolo, riesce a scontentare entrambi i gruppi. Compreso Vitale, che prima lo ottiene e poi lo molla. I sostenitori di D’Anna perché il circolo si era espresso in suo favore, i supporter della Spitaleri perché il tentennamento sull’assegnazione del simbolo sembrava in un primo momento il remake all’inverso di quello che accadde alle amministrative di Motta (il circolo espresse il nome di Festa, ma la segreteria appoggiò il candidato più in linea con il provinciale). Al ballottaggio Napoli tenta di compattare il partito sulla Spitaleri e di ricucire lo strappo attirandosi gli strali del gruppo di Raia e Villari. Alla fine dei giochi, il numero degli scontenti per la gestione Napoli aumenta esponenzialmente.
RAIA E VILLARI: TRAMONTA IL SOL DELL’AVVENIR
I due ex sindacalisti collezionano una magra consolazione facendo perdere Tania Spitaleri: Vitale diventa assessore di D’Anna. Una vittoria ostentata senza troppi imbarazzi a fronte di una campagna elettorale giocata sull’estraneità degli ex Articolo 4 al mondo della sinistra finita in una piazza festante con pezzi di centrodestra. Ciò detto, l’area legata alla Cgil può ancora contare sul radicamento territoriale. Un fatto che in contesti specifici però non evita rovinose cadute come dimostra la sonora sconfitta del candidato di Concetta Raia nel feudo di Grammichele.
A BERRETTA NON BASTA RENZI
Il deputato nazionale Giuseppe Berretta esce con le ossa rotte. Su Giarre punta tutto, ma non basta. Berretta si gioca anche la carta del Ministro Orlando. Alla fine gli animi sono ancora più esacerbati di prima dentro il partito e la posizione dei berrettiani si fa sempre più marginale. Aggregare tra gli scontenti al prossimo giro potrebbe non bastare.
BOCCA ASCIUTTA PER SAMMARTINO
I deputati Luca Sammartino e Valeria Sudano a Giarre ci hanno messo la faccia e hanno giocato una partita finalizzata a mettere in crisi i precari equilibri della segreteria provinciale. E’ andata male. Il capocannoniere di preferenze alle regionali non sfonda, anzi. E anche la sfida interna al partito si fa difficile da giocare soprattutto perché la maggioranza non gli fa toccare palla. L’obiettivo primario rimane entrare nella stanza dei bottoni.
LA DITTA BIANCO-BURTONE
Caltagirone doveva incoronare “la ditta” ex margherita. Invece, puntare sull’ usato sicuro, cioè Franco Pignataro, non ha pagato. La débâcle calatina ridimensione l’onorevole Burtone e lascia l’amaro in bocca al sindaco metropolitano di Catania che salendo sul palco di Caltagirone ci aveva messo la faccia. Non è nemmeno ripagato per avere scomodato uno sponsor di alto lignaggio come Ministro Graziano Del Rio, ma soprattutto Bianco risulta debole dal punto di vista del radicamento territoriale. Un nodo da affrontare.
ANTHONY BARBAGALLO, SENZA INFAMIA NE’ LODE
Stavolta non c’è scalata che tenga, almeno per capire se a Giarre il suo impegno sia giovato a qualcuno. Fino a prova contraria, ha comiziato – se così si può dire – al fianco di Vitale. Ciò, tuttavia, non permette di capire se l’assessore al Turismo sia da derubricare tra gli sconfitti del primo turno o tra i vincitori del secondo. Ciò che si sussurra tra la stanze delle segreterie è che Barbagallo, quando non ha candidati sindaco della sua scuderia in campo, non fa neanche il riscaldamento pre partita. Ecco tutto.
CENTRODESTRA MIMETICO
Dal de profundis all’exultet. Il centrodestra torna a camminare. Ma più che il Messia, pare un Lazzaro non proprio in salute. Vince forse perché sbagliano gli altri. Intanto però Caltagirone è azzurra, Forza Italia prima, e Giarre una piazza no dem. Basta anche questo, avvolte. Il catenaccio e il contropiede. Un risultato a cui nessuno credeva, prima. Così, Pogliese, Catanoso e Falcone, salvano il salvabile, faccia compresa. Complice una strategia mimetica e civica (parola passepartout della potica 2.0) che gliela fa spuntare, ma non godere al cento per cento.
LA VIA VERSUS CASTIGLIONE
Sorride, Giovanni La Via. La sua partita per ora l’ha vinta. Quella cioè tutta interna all’Ncd etneo. Esulta doppiamente, brinda e si fa immortalare con lo spumante in mano. A Ramacca ha piazzato la sua di bandierina al Palazzo comunale. L’elezione di Pippo Limoli vale come una beffa per Pino Firrarello e Giuseppe Castiglione. E non solo perché l’ex deputato ars si è ricollocato nel partito in zona La Via, ma anche perché assieme hanno dato prova che si può vincere anche senza l’aiuto di Bronte. E poi c’è Ioppolo. La vittoria di Caltagirone vale doppio. Uno, perché vince la vecchia coalizione di centrodestra, una rassemblement che va oltre i progetti firrarelliani che sono sempre più affini al renzismo non più dilagante. Due, perché con Ioppolo sindaco si libera un posto all’Ars e quel posto andrà ad Alfio Barbagallo. Il quale, per non sbagliare, è già nell’orbita dell’europarlamentare ppe. Così, anche La Via ha il suo deputato regionale. Pareggiato dunque il conto con Nino D’Asero e soci. E la palla torna ancora al centro
MONSIEUR SALVO POGLIESE
Lo hanno visto poco, dato per disperso tra i mille uffici dell’europarlamento. Ma la spunta. A Giarre, il suo Francesco Cardillo entra in consiglio con l’ultimissimo treno a disposizione: il premio di maggioranza in cordata con Angelo D’Anna. Ma tutti assicurano: quelli dell’ex consigliere provinciale sono voti tutti suoi, non di partito (che lì non c’è e non si vede) e non di segreteria. A Ramacca, il pogliesiano Nicodemo non ce la fa, anche se in consiglio piazza una pattuglia niente male, composta da tre fedelissimi e un falconiano. La corazzata di Pippo Limoli punta tutto su di una coalizione affollata e vince, al centro.
TOTI LOMBARDO: NIENTE ACQUA PER IL DELFINO
L’unica piazza dove gli ex autonomisti tentano il colpaccio è Grammichele. I lombardiani giocano in casa, ma non eleggono il loro candidato pur raccogliendo un numero significativo di consiglieri comunali. La città dalla pianta esagonale alla fine premia i Cinque Stelle e non diventa il volano per la riscossa di Toti Lombardo e Giuseppe Compagnone.
MUSUMECI SI ACCAREZZA IL PIZZO
Non di Pirro, ma una vera vittoria di Ioppolo. E non solo perché netta, ma perché riunisce quel centrodestra versione Anni 2000 (Pdr compreso) che ha fatto sognare e allo stesso tempo rabbrividire gli italiani tutti. Ioppolo arriva dove Parisi, a Milano, si ferma. Certo è che il centrosinistra meneghino è diverso, Sala non è Pignataro e Roccuzzo non è Pisapia. Intanto il mentore Musumeci se la gode tutta. Forse anche troppo. E si fa scappare quello che in due anni di comizi aveva sussurrato ma non detto esplicitamente: “Mi candido presidente della Regione”. Senza coalizione, però. Dov’è allora la vittoria di Ioppolo? Intanto Micciché e Pogliese lasciano fare e fischiettano tra Roma, Palermo e Bruxelles, un improbabile “Ciuri, ciuri, ciuri di tuttu l’annu”.
UNA SCONFITTA MEGAFONATA
Casca in piedi Giuseppe Caudo. Il capo del Megafono si rivela il gatto della politica etnea. A Giarre si gioca l’ennesima partita con i gemelli diversi del Pd, coalizzando gli eterodossi (o quasi) del renzismo attorno a Tania Spitaleri. Alla fine, e lo sappiamo già, perdono tutti e male. Ma lui, Caudo, vede il bicchiere mezzo pieno. Così, numeri alla mano, se il movimento di Crocetta arriva quarto, eleggendo un solo candidato, nella narrazione presidenziale è il primo partito Ionico. Un dato che tuttavia non è falso, ma i “ma” – sì i “ma” – restano e sono fin troppi aperti.
SICILIA FUTURA E LA POLITICA DEI DUE FORNI
La compagine del deputato D’Agostino sperimenta la politica dei due forni in stile centrista: a Giarre con il centrosinistra, a Caltagirone con il centrodestra. Finisce con un pareggio, ma la strada per entrare nel Pd si fa in salita. Anche se ciò non può non scomporlo più di tanto.
I GIOCHI DI PALAZZO PREMIANO CIVICI E 5 STELLE
La lezione delle amministrative nazionali fa scuola anche in provincia. Così si possono leggere le vittorie del candidato pentastellato a Grammichele e del civico D’Anna a Giarre: due vittorie maturate dopo brevi esperienze di sindacatura stroncate da giochi di palazzo o meglio di consiglio comunale. Una formula che evidentemente ha stancato gli elettori. Che sia un voto di cambiamento o di protesta poco importa, l’importante è imparare la lezione. Meno tattica, più strategia.
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26 Giugno 2016, 07:01