16 Settembre 2018, 06:04
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PALERMO – “Imponente versamento subdurale e subaracnoideo, specie a destra; un quadro di imponente squasso meningo-encefalico con infarcimento emorragico; un tramite trapassante gli emisferi. È stata rilevata, altresì, la presenza, a carico della fossa cranica media, di frattura a tutto spessore che interessava il decorso della rocca petrosa. Nel contesto del lobo temporale destro è stato rinvenuto un proiettile camiciato deformato, con perdita di sostanza. Dalle caratteristiche dimensionali dell’orificio di entrata e dal rinvenimento del proiettile di tale calibro, quindi, si è potuto stabilire che è deceduto a seguito di gravi lesioni cranio-encefaliche prodotte da un solo colpo d’arma da fuoco, una pistola semiautomatica di calibro 7,65 corto”.
Leggere il referto dell’autopsia, senza interruzione, può servire a ricordare che Pino Puglisi era innanzitutto un uomo. Per non dimenticare l’orrore è l’orrore che bisogna guardare in faccia.
Sono le otto di sera. Le strade a Brancaccio sono buie. Puglisi viene avvicinato da due uomini sotto casa. Casco in testa e pistola in pugno. Gaspare Spatuzza lo stringe a destra e Salvatore Grigoli a sinistra. “Padre, questa è una rapina”, dice Spatuzza allungando la mano per strappare il borsello del parroco. Sta recitando uno squallido copione. “Lo avevo capito, vi stavo aspettando”, risponde don Pino che ha tutto fin troppo chiaro. Spatuzza fa un cenno con il capo. È il segnale. Grigoli può sparare. Mentre lo ammazzano 3P sorride.
Il sorriso di un uomo che va incontro alla morte con una serenità che profuma di santità è divenuto un patrimonio collettivo da custodire. Nel venticinquesimo anniversario della sua morte è sull’orrore che bisognerebbe concentrarsi per cogliere il valore di una vita. Occorre mettere da parte, anche solo per un istante, l’impegno civile, prima ancora che religioso, del sacerdote; ricondurre il ricordo all’essenza, spogliandolo, con il massimo del rispetto, di tutto ciò che Pino Puglisi ha fatto in vita e ha rappresentato dopo la sua morte.
Ci fu un uomo, in carne e ossa, che si armò e fece fuoco. Era un killer e decise che un suo simile dovesse morire con un colpo di pistola alla nuca. Per secoli l’iconografia ci ha mostrato Cristo in croce senza alcun segno di sofferenza. Poi, è arrivata la drammaticità dell’immagine di un uomo che patisce la morte in terra. La religiosità si è umanizzata, dando spazio alla componente emotiva di fronte all’immagine di un corpo provato. Il colpo di pistola alla nuca di Pino Puglisi ha la stessa forza, drammatica ed evocativa, del costato sanguinante di Cristo.
Per i mafiosi la vita vale meno di zero, al massimo il prezzo di un proiettile calibro 7,65. Capire da quale parte stare dovrebbe essere facile, ma non lo è visto che la mafia c’era e c’è. Don Pino Puglisi lo aveva compreso, senza esitazione, ed è per questo che poteva dire al suo carnefice, sorridendo, “… vi aspettavo”
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16 Settembre 2018, 06:04