02 Aprile 2014, 16:50
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PALERMO – Al Civico 61 di via Sacchi, dietro la stazione Porta Nuova di Torino, c’era una sala per le aste. Chissà se c’è ancora. Un banditore, nemmeno troppo attento alla roba che tentava di piazzare, invitava i presenti ad alzare la posta per aggiudicarsi gli oggetti smarriti e mai reclamati. Era il 1974. Il clamoroso ritrovamento dei quadri di Paul Gauguin e Pierre Bonnard parte da lì. Dalla Stazione Porta Nuova. Ne ricostruiamo le fasi con colui che, grazie a tenacità e passione, ha fatto emergere la storia di due capolavori della pittura rimasti per quarant’anni appesi alle pareti di una cucina.
È un ragazzo siciliano. Iscritto alla facoltà di architettura dell’Università di Siracusa. Di più non diremo, perché il giovane preferisce restare, al momento, nell’ombra. Sa bene il peso di ciò che gli è capitato per le mani. O meglio, per le mani del padre, visto che è stato il settantenne genitore ad aggiudicarsi i due dipinti per 45 mila lire lire. “E pensare che il primo incanto andò deserto – ci racconta il futuro architetto, seduti al tavolino di un bar -. Alla seconda chiamata ci volle uno sforzo del banditore. Mio padre mi raccontò che l’incaricato quasi implorò qualcuno di farsi avanti altrimenti le tele sarebbero finite nella spazzatura”.
Non era un’asta per ricconi. C’erano appassionati di oggetti strani e molti pensionati indaffarati a far passare il tempo. Alla fine i due quadri attirarono l’interesse di due persone: “Mio padre se li contese con un altro a rilanci di 500 lire”. E si arrivò a 45 mila lire, probabilmente l’operaio emigrato dalla Sicilia a Torino si sarebbe defilato se solo il suo avversario avesse fatto un’ulteriore offerta. Per un impiegato di allora 45 mila lire era già una bella cifra. E così si portò a casa le due tele presentate come “Oli. Epoca presunta 1800. Autori ignoti e di nessun valore”. Per buona pace di chi oggi, in chissà quale parte di Italia, si sta mordendo le mani per il mancato acquisto. Il Gauguin, intitolato “Fruits sur une table ou nature morte au petit chien” (Frutti su una tavola o natura morte con cagnolino) vale tra i 15 e i 30 milioni di euro. Il Bonnard, “La femme aux deux fauteuils”, ossia la “Donna con due poltrone”, vale 600 mila euro come stimato dai carabinieri.
I dipinti finiscono nell’abitazione dell’operaio della Fiat che nel frattempo ha fatto rientro in Sicilia. Appesi in salone, in veranda e infine in cucina. Gli anni passano e passano pure per quel bambino che ha sempre coltivato, fin da tenera età, la passione per l’arte, tanto da scegliere di iscriversi in Architettura: “Mi chiedevo chi fossero i due autori. Ho la passione per la pittura ed ero rimasto affascinato dai due quadri. Poi, la svolta”.
Una svolta davvero singolare, come ogni dettaglio della storia. Il suo racconto è genuino: “Mi avvicino ad una bancarella di libri in un mercato e mi incuriosisce la biografia di Bonnard, un pittore che non conoscevo”. Per anni si era convinto, chissà perché, che il quadro della fanciulla in giardino fosse opera di tale Bonnato: “Niente, cercavo e ricercavo, ma questo Bonnato non esisteva”. Finché un giorno, quella biografia comprata in una bancarella finisce nelle mani del padre. Che mentre la sfoglia, butta lì una frase: “Guarda, mi disse, sembra dipinto dallo stesso autore del nostro quadro. Ci sono gli stessi colori, lo stesso giardino. ‘Papà, non credevo ai miei occhi, è la stessa firma del nostro quadro, altro che Bonnato’”.
Da lì si aprì un mondo che cozzava con il giudizio di alcuni esperti a cui il ragazzo si era rivolto e dai quali si era sentito dire che erano “quadri di buona fattura, forse di autori piemontesi dell’800. Nulla di più”. E il Gaugain? ”Non era firmato, si capiva che era di un autore diverso. Mi sembrava simile a certe opere di Gauguin o Cezanne. Meno male che li ho studiati”. Studiando, studiando il giovane si accorge che la dedica presente sul quadro, una natura morta, è scritta dalla stessa mano di un pittore che amava lasciare messaggi sulle tele. Quel pittore è Paul Gauguin. Il dipinto è datato 1869 ed è dedicato alla contessa di N(imal). Scavando tra i libri di storia dell’arte il giovane scopre che si trattava di una contessa fuggita con il quadro e legata ad un ministro nelle cui grazie il pittore sperava di entrare.
Saltò fuori che i quadri erano stati rubati nella casa di una facoltosa coppia di londinesi, deceduti senza lasciare eredi, che li aveva comprati alla galleria Sotheby’s nel 1961. Altro che Dopolovaro ferroviario. Del furto, avvenuto un decennio dopo, si erano occupati il “The New York Times” e il “The Straits Times”. A quel punto il giovane, che dice di essere in assoluta buona fede, decide di affidarsi ai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale, “dopo che una Sovrintendenza mi ha detto che la mia storia era impossibile e non potevano perdere tempo con me”.
E i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico, guidati dal comandante generale Mariano Mossa e dal maggiore Antonio Coppola, ricostruiscono i passaggi della vicenda tanto incredibile quanto vera. Già, perché i quadri sono autentici. E ora? “Aspetto che il giudice incaricato dia il via libera alla restituzione”. Accertato l’acquisto in buona fede del padre, non si può fare altro che restituire i quadri all’ex impiegato ed emigrante. E cosa ne faranno? Impossibile riportarli in veranda: “Mio padre li vorrebbe tenere entrambi, dice che si è affezionato”. Sì, ma non si può dimenticare che valgono una fortuna: “Mica sono ipocrita”. E quindi? “Intanto li daremo ai musei che saranno interessati ad esporli (è lecito immaginare che saranno in tanti e tutti pronti a sborsare cifre interessanti ndr). Poi, magari ne venderemo uno”.e quale terrete? “Il Bonnard, è quello da cui è iniziato tutto”. Come non essere d’accordo.
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02 Aprile 2014, 16:50