10 Novembre 2018, 18:00
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Se oggi chiedessi al comune cittadino cosa sta accadendo nel PD nazionale e in quello siciliano quanti mi saprebbero rispondere? Se chiedessi a chi si astiene dal voto da parecchio chi sono i candidati alla segreteria nazionale (con quali proposte) e alla segreteria regionale (con quali proposte) probabilmente registrerei numerosi e irritati “non so”. Eppure, stiamo parlando dell’unico partito di centrosinistra di peso esistente con il suo 17%, lontanissimo dal 40,7% delle europee del 2014 ma comunque un dato significativo, in una fase politica piena zeppa di fideistiche speranze, a Roma e a Palermo, più che di concrete possibilità di vedere realizzate le promesse elettorali dei vincitori (stupefacenti e contraddittorie nel Contratto M5S/Lega, ambiziose e impantanate nel programma del governatore Nello Musumeci). Quindi, con un campo in divenire aperto, sensibile alla necessità del Paese di avere soggetti politici e schieramenti effettivamente alternativi, al pari di una qualunque moderna democrazia.
Chi sono i candidati alla poltrona più alta del Nazareno? Finora, almeno pare, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti, Francesco Boccia, Cesare Damiano, Maurizio Martina (?), il giovane Dario Corallo. Marco Minniti è definitivamente fuori? Chi sono e da chi sono sostenuti? Quali sono le loro idee programmatiche e di immediata lettura (come, ad esempio, lo sono state di immediata lettura, benché impraticabili nella versione originaria, il reddito di cittadinanza pentastellato e la “quota 100” dei leghisti)? Tornando alla domanda iniziale: cosa sta accadendo nel PD? Se lo sanno soltanto gli addetti ai lavori forse vuol dire che il punto di partenza per risollevarsi e ricostruire un grande partito della sinistra era ed è sbagliato, a cominciare dalle modalità di comunicazione e di confronto con iscritti e cittadini, con famiglie e imprese, con giovani e anziani, con il Nord e con il Sud.
In realtà, il dibattito in corso tra i dem sembra ripiegato all’interno, nella ormai cronica lotta tra renziani e anti-renziani, tra renzian-collaterali e controrenzian-antagonisti, tra pontieri e outsider, tra notabili e capibastone che difficilmente potranno convincere gli ex-elettori e i potenziali neo elettori a ri-concedere fiducia alla medesima classe dirigente che ha trascinato il partito nei bassifondi del consenso in cui si ritrova.
E non vogliamo qui approfondire i rischi di scissione a intermittenza evocata. In Sicilia le cose vanno peggio, lo scontro tra le correnti è aspro, ognuno si organizza le proprie kermesse in solitudine rifiutando uno straccio di strategia comune, mentre i nomi in circolazione in vista del congresso regionale di metà dicembre – non interessa citarli, il punto è dato dal metodo di operare logoro, dai contenuti assenti e dai percorsi politici personali dei candidati consumati – con tutto il rispetto non fanno che rimarcare una condizione di assoluta continuità con il passato.
Nel mio recente articolo: “Nemmeno si parlano. Pd, la cena delle beffe”, scrivevo che per “ricominciare si deve mettere mano a secchio e straccio e ripulire, mettersi a nudo…e decidere finalmente di presentarsi uniti nelle strade, nei circoli, ascoltando gli iscritti (quelli non irregimentati) pronti a sottoporsi al giudizio duro e severo di coloro che erano stati elettori convinti e simpatizzanti e che adesso non lo sono più”.
Niente di niente, anche se non è ancora tardi, al massimo abbiamo interviste e dichiarazioni di deputati e dirigenti che improvvisamente si sono accorti che il correntismo estremo sta uccidendo il partito, bella scoperta, nulla o poco facendo per voltare pagina. Insomma, pur con una massiccia dose di buona volontà non si riesce a scorgere alcun elemento di rottura, né sul piano delle dinamiche viziose e viziate tra le varie fazioni né su quello dei volti a cui affidare il compito di rimodellare una credibilità man mano perduta – soprattutto durante la deludente stagione del governo Crocetta e dei riciclaggi di vecchio personale politico alla ricerca di poltigliose sommatorie di voti – a suon di sconfitte elettorali.
Salvo Toscano in uno dei suoi puntuali pezzi di cronaca politica (“Verso il congresso del PD. Manovre in corso tra i big”) concludeva: “chissà che alla fine il Pd non peschi dal mazzo della società civile o individui un giovane, magari un amministratore locale, per ripartire dopo le batoste cercando di addormentare per un attimo le faide correntizie”. Ecco, è il mio auspicio e non solo mio, seppure mischiato a un inevitabile scetticismo; l’auspicio che alla fine prevalgano la ragione e la voglia di riscatto. Ci stupiranno?
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10 Novembre 2018, 18:00