“Qualcuno non desidera | che si scopra la verità”

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23 Maggio 2010, 00:53

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Attilio Bolzoni

Attilio Bolzoni conosce bene i misteri di Sicilia: ha raccontato le storie di tanti morti ammazzati, di complotti e di trame occulte ancora tutte da svelare, passando dalla stagione stragista dei corleonesi di Riina a quella della “sommersione” e della stratificazione politco-economica imposta a Cosa nostra dal padrino Provenzano.  Storie di sangue e di potere, di mandanti scoperti e di altri rimasti tuttora nell’ombra che impediscono ai magistrati di Palermo e Caltanissetta di scrivere la parola fine sugli eccidi di  Capaci e via D’Amelio. Ed è stato proprio grazie ad un‘inchiesta del cronista di Repubblica, se  le indagini sul tentato attentato all’Addaura sono state riaperte.

 Bolzoni, venerdì dalle colonne di Repubblica Rita Borsellino, sorella di Paolo, ha scritto che apparati deviati dello Stato “non soltanto non hanno protetto a dovere Falcone e Borsellino, ma continuano anche a tramare per impedire che tutta la verità sulle venga finalmente  a galla”. E’d’accordo?
“Sì, credo proprio che sia vero. Rileggendo le vicende dei delitti eccellenti che hanno insanguinato la storia di Palermo – da Dalla Chiesa a Pio la Torre, da Mattarella a Reina, da Boris Giuliano a Costa, da Chinnici a Falcone e Borsellino – ci si rende conto che c’è sempre stato qualcuno che ha agito per non permettere di scoprire tutta la verità”.

 Alla luce di quanto emerso negli ultimi tempi, anche grazie alla sua inchiesta sull’Addaura, sembrerebbe proprio che tutta la storia delle stragi del 92’ sia da riscrivere…..
“Per le stragi di quell’anno e la morte di Falcone e Borsellino esistono due mandanti: uno siciliano, e non c’è dubbio nell’individuarlo in Totò Riina, un altro italiano, di cui, però, ancora non conosciamo l’identità. Falcone e Borsellino sono stati uccisi perché svolgevano il loro lavoro in modo normale. Per qualcuno, infatti, la normalità era un qualcosa di eversivo”.

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 Intanto le procure siciliane hanno riaperto le indagini, potendo contare anche sulla collaborazione di nuovi pentiti.  Arriveremo mai a conoscere tutta la verità sulla stagione delle stragi, e soprattutto si riuscirà a dare un volto e un nome a quello che lei chiama”il mandante italiano delle stragi”, ancora avvolto nel mistero?
“Sono piuttosto pessimista, a dire la verità. Falcone cominciò a morire sugli scogli dell’Addaura in quel giugno del 1989. Bisogna ripartire da lì per capire anche quello che è successo dopo, fino al 23 maggio del ’92. Sono, però, passati più di venti anni da quel fatto e ancora non abbiamo certezze. Se poi consideriamo che le indagini si sono riaperte per un libro e per un articolo giornalistico, allora vuol dire che la situazione non è buona”.

 Un contributo importante nel ricostruire le dinamiche di questi fatti, per molti versi ancora misteriosi, lo potrebbe fornire Massimo Ciancimino che il procuratore aggiunto di Palermo Ingroia ha definito “attendibile”. Lei che idea si è fatto delle deposizioni del figlio di Don Vito?
“Se quelle che dice Ciancimino sono cavolate o cose vere, utili alla giustizia o alla mafia, questo ce lo potrà dire solo il tempo, e il lavoro di accertamento dei magistrati. Io solitamente mantengo un atteggiamento laico rispetto a queste deposizioni, e a Ciancimino non fornisco alcuna patente di attendibilità. Ripeto, è un lavoro lungo e difficile, occorre pazienza”.

Il suo giornale ha intrapreso in questi giorni  una vera e propria battaglia contro il disegno di legge sulle intercettazioni voluto dalla maggioranza, e anche i magistrati di Palermo si sono schierati contro questa legge parlando di “tradimento di Falcone e Borsellino”. Condivide?
“Senza dubbio. Basta dire che con questa legge non si sarebbe neppure fatto il maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino. Lo stesso Ingroia, sulla lista nera di Raccuglia, è vivo grazie alle intercettazioni ambientali. Questo ddl impone dei paletti non solo alla stampa, ma anche ai magistrati e alle forze dell’ordine. La parola giusta per definire questa norma, non è silenzio, bensì omertà”.

Un’ultima domanda. Oggi è la ricorrenza della strage di Capaci: come ricorda quel giorno, e cosa è cambiato da quella fatidica data?
“Ricordo che quel giorno ero a Caltanissetta, appena arrivato a Palermo ho percepito un clima di devastazione e di dolore diffuso. Il sismografo dell’istituto Maiorana registrava anche una scossa: non era, però, terremoto, era la bomba che aveva devastato Falcone e gli uomini della sua scorta. Lì è anche cominciata la fine della Cosa nostra militare. Riina è stato usato per eliminare i due giudici e poi sacrificato, e ora è sepolto da 17 ergastoli. E’ Riina, e non Buscetta, l’uomo che porterà alla rovina Cosa nostra”.

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23 Maggio 2010, 00:53

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