Quando Mineo piangeva in casa| Da condannato a morte a neo capo

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15 Settembre 2019, 15:40

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PALERMO – È davvero la mafia del dopo Riina se a presiedere la nuova commissione, nel tentativo di rialzare la testa, c’era Settimo Mineo.

“Ma quanti guai ha passato”, diceva Salvatore Giglia, ottantenne come il capomafia di Pagliarelli che è stato suo testimone di nozze. Angelo Mannino, interlocutore di Giglia, anziano pure lui ma di qualche anno più giovane, aggiungeva che “dei guai che ha passato lui s’avissi a schifiari pure a taiarli sti cristiani (il solo sguardo di determinate persone doveva provocare disgusto in Mineo)”. La conversazione fa parte dell’inchiesta sulla nuova mafia denominata “Cupola 2.0” e approdata all’avviso di conclusione delle indagini.

“Sono un po’ contento – aggiungeva Giglia – ha detto, ha fatto… ora, magari che si sente una cosa… magari arrivisciu arrieri”. Già, Mineo è rinato, mafiosamente e fisicamente. Ventisette anni fa era un uomo morto, condannato da quel Totò Riina che, anche se solo simbolicamente, è stato chiamato a sostituire. “Il corleonese tutti in soggezione mise; e fecero tutti i traditori… che si scantavano che morivano”: nella conversazione fra i due anziani ci sono riferimenti al passato e al presente di Cosa Nostra, dalla mattanza voluta negli anni Ottanta dai corleonesi, alla fuga degli scappati in America, fino al loro ritorno a Palermo.

In quella guerra Mineo perse due fratelli, Antonino e Giuseppe, assassinati nel 1981 e nel 1982. Argomenti che Mannino, il cui figlio Saverio fu inghiottito dalla lupara bianca nel 1991, conosceva bene: “… mi ricordo che ci stavano n ‘cuoddu, per vedere se usciva da dentro”. Se ne ricordava bene anche Giglia: “Io lo andai a trovare con Vicè Barone alla casa… piangeva”.

Le cose sono cambiate, come è cambiato Mineo, che ha tradito il suo padrino Nino Rotolo, il quale mai avrebbe autorizzato il ritorno degli scappati. Ed invece i blitz di carabinieri e poliziotti ci raccontano degli incontri fra Mineo con i cugini Franco e Tommaso Inzerillo, rientrati a Passo di Rigano e di nuovo arrestati.

Mineo ha scelto come suo braccio destro Salvatore Sorrentino, un altro condannato a morte da Rotolo. Di ragioni per ammazzarlo, dicono le cronache e i pentiti, ce n’erano di gravi per le logiche di Cosa Nostra: si era alleato con Lo Piccolo, nemico numero uno di Rotolo, ed era pronto a tradire Michele Oliveri, altro boss della vecchia mafia. Sorrentino è stato perdonato grazie all’intercessione di altri mafiosi.

La mafia è cambiata. È lo Stato che è rimasto lo stesso, e li ha riportati tutti in carcere, fermando il tentativo di ricostituire la Cosa Nostra del dopo Riina. Una Cosa Nostra affidata ad uno uomo che i corleonesi volevano morto. “Minchia due fratelli gli hanno ammazzato… anzi gli è finita bene”, diceva Mannino. E Giglia chiudeva la parentesi dei ricordi: “Sì però quello suo fratello ha perso la vita per lui… perché lui ha parato a suo fratello”.

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15 Settembre 2019, 15:40

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