Quando regnava Bettino… | “Ma c’è bisogno dei socialisti”

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07 Giugno 2013, 16:04

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PALERMO- I socialisti all’Ars. E non è una barzelletta. Uno domanda: “Arrivò Mancini?”. Nencini. Si chiama Nencini. Mai, quando Bettino regnava, un mortale avrebbe storpiato il suo cognome in “Grassi”. Mai ci sarebbe stato bisogno di ribadirlo. Craxi. Si chiama Craxi. Che poi Riccardo Nencini ha la cortesia corposa degli omini di ferro. Ha superato, negli anni scorsi, un brutto incidente. Cioè, non lo butti giù con un soffio. Entra a Palazzo dei Normanni, per presenziare la riunione dei quadri socialisti siciliani ed è il primo garante dell’ironia: “Dobbiamo unire i riformisti”. Mica facile, sa? Replica con un sorrisino acuminato: “Se fosse facile, non varrebbe la pena”. All’Ars, all’Ars per ritemprare la memoria e ripartire sotto un simbolo antico. Il clima è fatalistico-leggero. L’onorevole Oddo azzarda la battuta: “Praticamente un’invasione”.

E si comincia. Ha inizio il rito della riunione politica. Che muove a tenerezza. “Politica”, parola arcaica, termine in disuso tra grillismi e altri ismi, i rami di una intricata foresta di nonsensi. Sì, tenerezza nell’ascoltare i socialisti che si appellano reciprocamente “compagni”. Anzi, ‘gombagni’, secondo un dizionario ideologico sublimato nella cadenza sicula che rende gutturale tutto. Talmente gutturale, da vedere riapparire uno scampolo della testa pelata di De Mita, mentre Forattini lo sfotteva per la pronuncia in vignette salaci, ritraendolo con copricapo indiano di ritorno da un viaggio di venerazione ai piedi della ‘Madonna di Bombei’. Ma quella era proprio un’altra cosa. Oltretutto, non sarebbe carino nominare Ciriaco in un consesso socialista, il perfidone di Nusco che stava a Craxi come il diavolo all’acqua santa (il paragone valeva ovviamente al contrario, tra i corridoi di piazza del Gesù).

Dunque, i socialisti che hanno un passato. E sono sicuri di possedere le chiavi di un futuro per quanto incerto. Carlo Vizzini, con i baffi redivivi, dopo un’astinenza prolungata, traccia il diagramma con la consueta chiarezza: “Non si può stare sempre in prima fila. Ora bisogna pensare”. E si può scrivere di tutto, appuntare la forchetta, pulirsi il coltello sulla carne di una storia tremenda, tra gloria e ombre, talvolta maledetta, talvolta migliore di come la si narra. Tuttavia, sarebbe ingiusto venire qui per dipingere la caricatura di una seduta spiritica. Almeno questi si mettono intorno a un tavolo e discutono. Al Pd, per esempio, si sparlano più spesso tramite cannoneria mediatica.

Passato e futuro. La desertificazione. Il viaggio. Forse l’avvio del crollo – se vogliamo punteggiare un’operazione mnemonica – è datato 3 luglio 1992, il famoso discorso di Bettino su ‘Tutti colpevoli, o nessun colpevole’, in un Paese divorato dai suoi appetiti. Quella concione fu diversamente valutata, come l’ammissione di colpa di un malandrino, o come la prolusione di uno statista. Era politica. Riccardo Nencini non si comporta da custode del sepolcro. Non è il suo ruolo. “Sono passati vent’anni, insomma. La nostra strada è veramente lunga. C’è bisogno dei socialisti. Oggi siamo divisi tra una politica gridata e demagogica e un’altra che offre soluzioni rapide e superficiali”. Nino Oddo, la bandiera da tenere alta, rincara la dose: “Sì, c’è bisogno di un progetto veramente riformatore”.

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Di là, nella sala rossa, Giovanni Palillo, un monumento per i suoi ‘gombagni’, si infervora: “Dobbiamo riconoscerlo. Il Pd non ci ama”. Ricordate i duelli di una volta, quando Berlinguer e Craxi si beccavano? Se ne mandavano d tutti i colori da mittenti contrapposti. E Giampaolo Pansa ricalcava in copia i sacri furori, attirandosi un odio ambivalente. Le vicende sono diverse, irriducibili. Enrico Berlinguer – di lui Luciano Lama scolpiva il busto: “Era gelido, ma sapeva darti prove d’affetto” – è un padre della patria, morto mentre esercitava la nobile arte del comizio. Bettino Craxi è morto in esilio, vituperato, protagonista di barzellette ridanciane e un po’ oscene. Da qualche tempo, nella foresta degli ismi, all’esecrazione si è aggiunta una goccia di rimpianto.

Quella – affermano i nostalgici – era la politica che ti propinava porcherie innominabili perché il meglio se l’era già pappato lei. Però serviva le sue pietanze con la posateria d’argento. Adesso – i soliti nostalgici – niente è cambiato, solo che a tavola hanno messo piatti e bicchieri di carta.

 

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07 Giugno 2013, 16:04

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