31 Luglio 2012, 14:58
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Con le dimissioni, Raffaele Lombardo oggi chiude un quadriennio di presidenza della Regione movimentato come pochi. Il politico di Grammichele fu lanciato come candidato a Palazzo d’Orleans da Silvio Berlusconi, che per rafforzare il centrodestra nella partita delle nazionali, lasciò al leader dell’Mpa il ruolo di frontrunner sacrificando le ambizioni di Gianfranco Miccichè. L’era Lombardo comincia il 14 aprile, quando l’ex presidente della Provincia di Catania sbaraglia alle elezioni Anna Finocchiaro, ottenendo più del doppio dei voti della sua avversaria.
Con Lombardo, la coalizione di centrodestra che aveva governato nei sette anni di presidenza Cuffaro mantiene il potere. Ma sin dalle prime battute l’alleanza è agitata da una continua maretta. Le tensioni principali si registrano tra il governatore e gli alleati di Pdl e Udc, molto critici soprattutto sulla gestione della Sanità, affidata da subito al magistrato Massimo Russo. I dissapori si trasformano presto in scontro senza quartiere con continue filippiche infuocate all’Ars da parte dei capigruppo di Pdl e Udc, Innocenzo Leontini e Rudy Maira, che qualcuno già chiama scherzando i leader dell’opposizione. Lombardo dimostra da subito di essere un politico poco incline alla mediazione, anzi, di saper sfruttare al meglio le debolezze e le divisioni degli avversari, quella che diventerà la cifra politica della sua era. Il 25 maggio 2009 lo stesso Lombardo decide di azzerare gli incarichi di tutti gli assessori chiedendo le loro dimissioni e a giugno nasce il Lombardo bis senza l’Udc, che passa all’opposizione gridando allo scandalo. Resta in maggioranza invece il Pdl di Angelino Alfano, che scarica così gli alleati centristi abbandonandoli al proprio destino.
I rapporti tra Lombardo e il Pdl però si incrinano da lì a poco, quando nell’estate del 2009 l’Mpa si astiene dal votare la fiducia al Governo lamentando l’abbandono del Sud, la carenza infrastrutturale e il trasferimento dei fondi Fas al Nord da parte dell’esecutivo a trazione leghista. In casa Pdl la tensione è alle stelle e il grande divisore Lombardo riesce a incrinare l’unità del partito, che all’Ars si spacca in due gruppi. Nasce il Pdl Sicilia, cui aderisce la corrente di Dore Misuraca, quella di Gianfranco Miccichè e i finiani, sempre più in rotta di collisione con Berlusconi.
Dopo la scissione interna ai berluscones, lo scontro nella maggioranza siciliana si acuisce. Fino alla bocciatura dei deputati del Pdl “lealista” del Dpef di Lombardo. Su questo passaggio parlamentare si consuma quella che lo stesso Lombardo definisce “la dissoluzione della maggioranza”. Si arriva così alla fine del 2009 alla nascita del Lombardo Ter, sostenuto dal Pdl Sicilia ma non dai “lealisti” alfaniani che passano all’opposizione. Tra le macerie dei partiti tradizionali, Lombardo regna incontrastato e incassa, tra mille difficoltà, anche la disponibilità del Pd a un dialogo sulle riforme. Gli ex alleati gridano al ribaltone.
Ma le liti e gli scossoni attorno a Lombardo non finiranno. Un’ulteriore spaccatura si consumerà con i miccicheiani, che lasceranno la maggioranza. Fibisce così l’era del Pdl Sicilia: solo i finiani resteranno accanto a Lombardo, insieme alla nuova Udc “decuffarizzata” dopo l’uscita dal partito di Saverio Romano e dei suoi, passati a prestare soccorso bianco al governo Berlusconi. Nasce così il Lombardo quater, una giunta composta solo da tecnici (tra gli altri, nomi di spicco dell’antimafia come Caterina Chinnici, figlia di Rocco, e il prefetto Giosuè Marino) che gode anche dell’appoggio, decisivo, del Partito democratico. Appoggio che scatena da subito dentro il partito un conflitto lacerante tra i sostenitori dell’abbraccio al governatore e i critici, con in mezzo il segretario Giuseppe Lupo a mediare.
A complicare le cose era arriva nel marzo nel 2010 la bomba giudiziaria, anticipata dal quotidiano La Repubblica, che aveva dato notizia dell’indagine della Procura di Catania a carico del governatore e del fratello Angelo per concorso esterno in associazione mafiosa. Sarà l’inizio di una lunga e controversa vicenda giudiziaria che vedrà spaccarsi al suo interno la procura etnea. La richiesta di archiviazione dei pm non sarà accolta dal Gip, che il 29 marzo del 2012 deciderà per l’imputazione coatta per mafia del presidente (intanto già a giudizio per reato elettorale). Un fulmine a ciel sereno che ha l’effetto di un terremoto sullo scenario politico siciliano e che allontana il Pd da Lombardo fino all’annuncio del governatore delle dimissioni a fine luglio.
Si apre così l’ultima fase del governo Lombardo, sostenuto da una coalizione di minoranza all’Ars. Già a gennaio del 2012 l’Udc di Gianpiero D’Alia aveva abbandonato la maggioranza, criticando l’atteggiamento del governo sui conti e i ritardi sul Bilancio (approvato per tre anni di fila dopo un lungo esercizio provvisorio). Con l’abbandono del Pd (ma anche di esponenti di spicco dell’Mpa come Leanza e Musotto), accanto a Lombardo restano solo i fedelissimi finiani, il partito “satellite” Mps e i rutelliani dell’Api. Scatta così la fase del “governo elettorale”, con l’uscita di scena di otto dei dodici assessori tecnici e l’ingresso di politici in squadra (in totale gli assessori dei vari governi nei quattro anni saranno più di trenta). Sono giorni caldissimi, nei quali il governatore è attaccato per la valanga di nomine di sottogoverno (“Arraffaele”, lo chiamano gli avversari politici per la sua inclinazione a occupare ogni strapuntino con suoi fedelissimi) e per un ventilato rischio default della Sicilia, poi smentito, che però attira le attenzioni del governo di Mario Monti e i titoli della stampa nazionale e internazionale. Il resto è cronaca.
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31 Luglio 2012, 14:58