12 Marzo 2011, 13:01
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In principio fu il “pizzino” dei Lo Piccolo a svelare gli interessi mafiosi sul business delle energie rinnovabili in Sicilia, ritrovato nel covo di Giardinello dove padre e figlio vennero arrestati nel novembre del 2007, il foglio riportava il beneplacito del boss sul nome di un imprenditore a gestire l’eolico.
Solo apparentemente uno dei tanti appunti di quella minuziosa e certosina “contabilità mafiosa”, invece un pezzetto di carta prezioso per gli inquirenti, in grado di aprire quel vaso di Pandora delle infiltrazioni mafiose in un settore considerato sempre più negli ultimi anni il vero “Eldorado” degli investimenti. Una traccia nevralgica quella del 2007 che condusse allo sviluppo di successive inchieste e al sequestro del patrimonio dell’ imprenditore Vito Nicastri, lo stesso appunto citato nel famoso pizzino di cui poi si è scoperto essere il prestanome del più potente latitante trapanese, Matteo Messina Denaro.
Era il sedici settembre 2010 quando in occasione del maxisequestro del tesoro di Nicastri per un ammontare complessivo di un milione e mezzo di euro, il procuratore di Palermo, Francesco Messineo lanciava il primo di una lunga serie di avvertimenti che qualcosa “bolliva in pentola” definendo il settore energie come “il paradiso per l’organizzazione mafiosa che dispone di mezzi e agganci necessari ad attuare il progetto”.
Si aggiungeva al coro di Messineo solo dopo pochi giorni anche quello di Maurizio De Lucia, sostituto procuratore della Procura Nazionale Antimafia che comparava il livello di interesse di Cosa Nostra sull’installazione dei terreni tale a quello avvenuto durante il sacco di Palermo avvertendo che le inchieste sull’eolico avevano fatto spostare i clan verso il fotovoltaico, richiamati anche dagli incentivi statali.
Il numero impressionante di pratiche impilate e accatastate che ora giacciono negli uffici di via Ugo La Malfa, sede dell’assessorato regionale all’Energia, però parla da solo: 1300 le richieste presentate per le autorizzazioni ad aprire un impianto nell’isola, dalla piccola azienda ai grandi colossi dell’energia. Pratiche che stanno lì da tre anni con il rischio di un travolgente effetto a catena per l’exploit di contenziosi giudiziari in seguito al mancato adempimento da parte della pubblica amministrazione dell’obbligo di legge a rispondere entro 180 giorni dall’istanza.
Intanto, il neo assessore regionale all’Energia, Giosuè Marino che dinnanzi alla lentezza e al caos della burocrazia regionale ha parlato “del bisogno di regole certe nel settore perché si possano verificare situazioni poco chiare”, firmerà lunedì prossimo un protocollo d’intesa con le Fiamme Gialle per la legalità su Energie e rifiuti.
Non è, dunque, un caso che la mazzetta che Gaspare Vitrano, il deputato regionale del Pd arrestato ieri, stava consegnando fosse destinata proprio a un imprenditore del fotovoltaico. Una sfumatura precisa che lo stesso Francesco Messineo, all’indomani dell’arresto, ha voluto ancora una volta sottolineare: “Posso affermare che e’ significativo – ha detto lapidario il procuratore – che il fermo riguarda il fotovoltaico, proprio come accadde di recente ad un imprenditore di Alcamo”.
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12 Marzo 2011, 13:01