Il conto che insospettì la Finanza | E iniziò l’inchiesta sulla cantina Calatrasi

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12 Marzo 2015, 06:15

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PALERMO – L’inchiesta sulla casa vinicola Calatrasi parte da una segnalazione bancaria. Il 3 novembre 2009 Vincenzo La Barbuta, imprenditore lucano trapiantato a Milano, legale rappresentante della Tecnofilling srl e un tempo socio di Calatrasi, si presenta nella filiale Unicredit di San Giuseppe Jato.

Apre un conto corrente versando un assegno da un milione e 638 mila euro. L’assegno era stato staccato nove mesi prima dalla Calatrasi di Antonio Miccichè. Il 10 novembre dal conto di Tecnofilling, società in liquidazione che vendeva macchine agricole, parte un bonifico il cui beneficiario è Vincenzo Calatrasi. Causale: “Caparra acquisto terreno”. I finanzieri avrebbero poi scoperto che non fu mai registrata alcuna compravendita.

Molto tempo dopo, meglio tardi che mai dicono gli investigatori, parte la segnalazione anomala con cui Unicredit avvisa la Banca d’Italia di avere registrato un’operazione sospetta. Il resto lo hanno fatto le indagini dei finanzieri del Nucleo speciale di polizia Valutaria guidati dal comandante Calogero Scibetta, secondo cui i movimenti bancari altro non sono stati che “gli artifici e raggiri” della truffa per cui sono indagati, a vario titolo, Antonio e Giuseppe Miccichè, Vincenzo La Barbuta, Elisabetta Croce, Giuseppe Beltempo oltre alle due società. Beltempo è legale rappresentante della Estates Services che avrebbe contribuito al giro di false fatturazioni per giustificare spese mai sostenute e incassare il finanziamento dalla regione Puglia, finalizzato alla ristrutturazione di una cantina a Brindisi.

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I soldi, secondo il procuratore aggiunto salvatore De Luca, i sostituti Claudia Ferrari e Gaspare Spedale, sarebbero serviti per ripianare debiti aziendali. “La casa vinicola Calatrasi versava in condizioni economiche precarie – si legge nel decreto di sequestro firmato dal giudice per le indagini preliminari Fernando Sestito – ed è stata coinvolta in una ristrutturazione aziendale che ha dato vita nel 2009 alla holding Mediterranean Domains”. Per rientrare dai debiti era stato pure acceso un mutuo bancario.

Una volta incassati i soldi del finanziamento i Miccichè avrebbero distribuito, ancora una volta con dei bonifici, i soldi ad altri parenti. Ieri i titolari della casa vinicola hanno replicato con una breve nota: “Non abbiamo ancora contezza del provvedimento giudiziario. Ci difenderemo nelle sedi opportune”.

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12 Marzo 2015, 06:15

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