01 Aprile 2019, 17:02
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PALERMO – Si sono ritrovati faccia a faccia. I parenti della vittima e colui che li avrebbe privati di un marito e di un fratello.
Pochi minuti nei locali della squadra mobile nel corso dei quali le microspie piazzate dai poliziotti avrebbero captato un altro tassello che, secondo l’accusa, confermerebbe che è stato Pietro Seggio a uccidere Francesco Manzella, il 17 marzo scorso in via Gaetano Costa, a Palermo.
“Che è successo?”, chiede Seggio. “Non c’è più”, rispondono moglie e fratello di Manzella. Ancora Seggio: “Glielo avevo detto… nescitinni (escitene)”.
Chi doveva “uscirsene” e da cosa?”. Secondo gli investigatori, Seggio la mattina successiva al delitto dava per scontato che Manzella fosse stato ammazzato a causa di qualcosa da chi lui stesso lo aveva messo in guardia. Parole che dimostrerebbero un suo tentato di allontanare da se stesso i sospetti.
I pubblici ministeri Giovanni Antoci e Giulia Beux, hanno chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Filippo Serio la convalida del fermo. A Seggio viene contestato l’omicidio con l’aggravante della premeditazione: sarebbe uscito dai locali della sua pizzeria di Borgo Molara armato di pistola. Forse si tratta di una calibro 38, lo stesso calibro dell’arma che Seggio deteneva legalmente. Potrebbe essere soltanto una coincidenza. Solo le perizie potranno offrire certezze.
Seggio avrebbe raggiunto via Gaetano Costa, la stradina che sovrasta lo scorrimento veloce Palermo-Sciacca, all’altezza del carcere Pagliarelli, e qui avrebbe esploso l’unico colpo di pistola che ha ucciso Manzella, raggiunto alla tempia.
Storie che si intrecciano quella di Seggio e di Manzella e dei loro familiari. C’è il rapporto fra chi aveva bisogno di rifornirsi di cocaina e chi gliela vendeva, ma anche il rapporto fra chi, i parenti di Seggio, hanno cercato in tutti i modi di allontanare la vittima dall’uomo che ritenevano gli avesse rovinato la vita. Il giorno prima del delitto la moglie di Seggio aveva fermato Manzella davanti alla pizzeria. Dovev lasciare in pace il marito. A saldare il debito di 700 euro per le dosi non pagate avrebbe provveduto lei.
All’indomani del delitto il nuovo incontro stavolta fra i parenti di Manzella e Seggio pronto, secondo l’accusa, a recitare la sua parte, a fare finta di nulla nei locali della squadra mobile come se non fosse stato lui a sparare a Manzella che lo aspettava in macchina nella stradina che sovrasta lo scorriemnto veloce.
Davanti al Gip Seggio ha scelto il silenzio. Si è avvalso della facoltà di non rispondere come gli consente il codice. A parlare è il suo legale, l’avvocato Giovanni Castronovo: ”La prima impressione che ho ricavato dalla lettura delle indagini è che gli elementi investigativi acquisiti possono al più essere ritenuti mere ipotesi investigative,e non hanno una valenza probatoria tale da poter essere qualificati come gravi indizi di colpevolezza. Peraltro ciò che è davvero inconsistente è il movente dell’omicidio. Ed infatti, tenuto conto che la famiglia Seggio è benestante,l – aggiunge – ed è composta da persone perbene, dedite al lavoro e sconosciute agli organi di polizia, ed avuto riguardo alla pregressa conoscenza tra la vittima è l’indagato (con il quale vi erano rapporti di amicizia familiare risalente nel tempo), pensare che, qualora vi fosse realmente, ritenere che un debito di 700 euro possa giustificare e legittimare un omicidio,mi pare un fatto davvero privo di logica. Dopo aver letto con attenzione gli atti investigativi ed aver svolto delle indagini difensive avanzerò istanza di riesame,certo di poter chiarire la vicenda”. Non ci sono solo i 700 euro, sostiene l’accusa, ma il clima di esasperazione a cui era giunto Seggio. E più di ogni cosa ci sarebbe l’alibi fasullo che ha fornito agli investigatori per giustificare i suoi spostamenti la sera del delitto.
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01 Aprile 2019, 17:02