19 Luglio 2009, 01:00
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C’è chi era già adulto, chi era bambino, chi aveva 20 anni. Correva l’anno 1992 e il 19 luglio, dopo la strage in cui morì Paolo Borsellino, preceduto, appena pochi mesi prima, da Giovanni Falcone, i siciliani sembravano essersi svegliati da un lungo torpore: con l’arrivo dei politici ai funerali del giudice Borsellino, in Cattedrale, la folla inferocita aveva rotto i cordoni dei 4000 agenti chiamati a mantenere l’ordine, scavalcando il confine tra istituzioni e cittadini. Oggi, dopo 17 anni, il “lungo sonno” sembra essere tornato, con gli stereotipi cristallizzati pronti a blindare la memoria ed evitare domande scomode. Livesicilia ha lanciato, dalla sua pagina di Facebook, un esperimento di “memoria collettiva”, raccogliendo le testimonianze dei lettori. Per capire, per riflettere, per chiederci anche polemicamente se veramente abbiamo dimenticato o annacquato la lezione di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e la “rabbia e l’orgoglio” ai loro funerali. “Avevo 20 anni ed è stato allora che ho scelto che persona essere – scrive Patrizia Gennaro – e non me ne sono mai pentita, a conferma che quelle morti non sono state inutili. Ancora adesso mi commuovo e provo dolore, ma è anche meravigliosa la sensazione di essere una siciliana perbene e che i miei modelli sono stati loro, che sono vivissimi nella mia testa”. “L’aria che si respirava in città era pesante e cupa – ricorda Antonello Giudice – nonostante abitassi in una zona distante da via D’Amelio ho sentito insieme ai miei familiari un boato fortissimo”. Poi le colonne di fumo e la certezza che diceva “quello che il mio cuore non voleva sentire. Guardai mia figlia che all’epoca aveva 4 anni. Pensai che era davvero finita. Oggi cerco di essere più ottimista ma non mi piace l’aria assopita che si respira come se la mafia non fosse mai esistita”. “A quell’età se mi fosse crollato il mondo sotto i piedi non me ne sarei accorto – scrive Egidio La Rocca – invece era crollato il mondo sotto i piedi dei siciliani. Oggi ci sono meno stragi e più silenzio, meno faide, ma il controllo continua. Ci sono più denunce, ma bisogna lavorare tutti insieme per dare una speranza a questa terra che Bufalino ha definito di luce e lutto”. Tra le testimonianze affiorano anche i primi goffi tentativi di rimozione di chi non capisce: “Avevo cinque anni e un ricordo vago dei notiziari – scrive Caroline – ma le lacrime di mia madre mi sono rimaste impresse. Da allora a scuola iniziai a fare un sacco di disegni raffiguranti Falcone e Borsellino, mentre un giorno la maestra mi disse ‘Ma tu sei piccola, non le devi disegnare queste cose tristi!’. Ricordo la catena umana l’anno dopo, l’adesivo tondo di ‘Palermo Anno Uno’ che per un sacco di tempo mia madre tenne attaccato allo specchio della sua camera da letto. A volte penso che gran parte della persona che sono oggi sia nata allora, che quel dolore mi abbia portato a fare, più grande, determinate scelte”. “Anch’io ricordo poco, avevo 7 anni, partecipavo con mio padre ai cortei con i lenzuoli bianchi alle finestre – dice Laura Licata – probabilmente non capivo neanche tutto quello che facevo ma quel periodo è stato veramente importante, perché, nel bene e nel male, ha contribuito a fare di me la persona che sono oggi dopo 17 anni”. L’eco delle stragi era arrivato anche all’estero, come ricorda Margarita Gjeta: “Vivevo ancora in Albania, lavoravo per un giornale nazionale e il capo della redazione preparò uno speciale intero in onore di questi due eroi… dopo tanti anni vissuti in Italia, Paese bellissimo, credo però che l’umanità qui stia perdendo il valore della cosa giusta”. “Troppo spesso le nostre gambe camminano sulle loro idee”, scrive lapidario Marco Bisanti, come a sottolineare una reazione che si è esaurita e ripiegata su se stessa, mentre c’è chi, come Valeria e Federico, ha un ricordo ovattato dalla scuola e dalla famiglia: “Sul momento non capii la gravità del fatto, c’era caldo e tutto scorreva nella normalità – annota Valeria – arrivata a casa tardi trovai mia madre ancora sveglia davanti alla tv. Era il 23 maggio. ‘Non si può andare a dormire’, mi disse. Poco tempo dopo, un’altra veglia terribile”. “L’unica cosa che ricordo di quel momento sono le parole della professoressa di italiano che ogni tanto mi ronzano ancora in testa – scrive Federico – ‘perché la gente si svegli in Italia purtroppo dovranno uccidere 100 persone come il giudice Falcone’. Di lì a poco infatti venne assassinato Paolo Borsellino”. “E’ stato il giorno in cui ho visto piangere per la prima volta mio padre”, ricorda Lucia, mentre Alfio si sofferma sulla reazione ai funerali: “Probabilmente c’erano anche i veri mandanti e forse tra chi lo innalzava al ruolo di eroe si nascondeva il carnefice”. “Quel giorno mia figlia mi ha chiesto :’Mamma, perchè piangi?’ – scrive Marina Castellese – Le spiegai. Lei riprese a disegnare, come faceva già da un paio di mesi: non solo Giovanni, Francesca, la scorta, ma anche Paolo. Che per noi divenne zio Paolo, il cugino Paolo, il nonno Paolo, il vicino Paolo. E attaccavamo disegni dappertutto. Per qualche tempo ho accarezzato anche l’idea di partecipare al concorso per magistratura. Fu una stagione strana: grandi dolori e grandi speranze. Si stratificavano sentimenti ed atmosfere inenarrabili:spesse ed intense. Per me quella primavera non è ancora finita”.
La conclusione di questo collage di emozioni preferiamo affidarla al ricordo di un altro lettore: “Se tutti noi – scrive Pietro La Rocca – nei limiti del possibile e senza necessariamente vestire i panni degli eroi, dessimo il nostro contributo di lealtà verso la giustizia, forse quella probabilità teorizzata da Falcone, sulla mafia come fenomeno umano, con un inizio e una fine, potrebbe più facilmente divenire certezza”.
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19 Luglio 2009, 01:00