26 Febbraio 2013, 17:44
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PALERMO – Una lettura drammatica. Una specie di bollettino di guerra con una lunga catena di morti ammazzati. Nomi di prestigio e anche gregari di Cosa nostra. “Radio-mafia” aveva segnalato il pericolo e decine di capi e picciotti di Cosa nostra, che avevano qualche conto in sospeso con i clan avversari, avevano cambiato aria. Quel teatro di sangue, tra Bagheria, Altavilla Milicia e Casteldaccia, era stato “battezzato” il triangolo della morte.
Quei terribili anni di prima metà degli Ottanta del secolo scorso. Le cronache sono ricche di storie terribili. Nei taccuini dei cronisti finisce il nome di Pio La Torre, segretario regionale del partito comunista, ucciso a Palermo il 30 aprile del 1982 assieme al suo autista, Rosario Di Salvo. Cinque mesi dopo, la sera del 3 settembre, cade un altro personaggio eccellente. L’indomani, i titoli di prima pagina dei quotidiani “urlano” un il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’ex generale dell’Arma dei carabinieri, diventato prefetto, l’uomo che aveva combattuto con successo l’estremismo di destra e di sinistra, viene inviato a Palermo per combattere Cosa nostra. Ma finisce sotto i colpi dei mitra Kalashnikov in via Isidoro Carini, sempre a Palermo. Pur di assassinarlo, i sicari non esitano a sparare anche contro la moglie, Emanuela Setti Carraro, che è al volante di una “A 112”. Assieme a loro viene ucciso l’agente di scorta, Domenico Russo, che viaggia in auto a poca distanza.
“E’ stato un periodo di cifre agghiaccianti”. Poche parole, che la dicono lunga sul clima creato da Cosa nostra. Le pronuncia Ugo Viola, all’epoca procuratore generale a Palermo. Sono anche gli anni degli assassinii del professore Paolo Giaccone, primario dell’istituto di medicina legale di Palermo, del capitano dei carabinieri Mario D’Aleo e dell’eccidio di via Giuseppe Pipitone Federico (Palermo), dove viene compiuta una strage, provocata dall’esplosione di un’autobomba. Le vittime sono il giudice Rocco Chinnici, due carabinieri, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e Stefano Li Sacchi, portinaio dell’edificio dove abita il magistrato. Tuona il procuratore Viola: “Per fortuna, la risposta della giustizia, per quanto ancora inadeguata all’escalation mafiosa, dà l’impressione di cominciare a contenere e contrastare la criminalità organizzata”.
Già, la mafia, che all’epoca, ma ancora oggi, gestisce un’enorme ricchezza illecita, riciclata attraverso innumerevoli canali: traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e appalti truccati. Nel novembre del 1982, a Cefalù, nel corso di un convegno sulla mafia, organizzato dalla Uil, il colonnello Andrea Castellana, comandante della Legione-carabinieri, sottolinea che “il mafioso non è più un personaggio intoccabile, ma braccato, che le forze dell’ordine hanno costretto, quando non è stato possibile arrestare, alla latitanza. Ma finirà con le manette ai polsi”. L’ufficiale aggiunge che “con la legge antimafia Rognoni-La Torre le forze dell’ordine hanno imboccato la strada giusta per sconfiggere Cosa nostra, soprattutto perché si sono iniziati ad eseguire sequestri e confische di beni nei confronti di gente implicata in cose di mafia”.
Tre mesi prima, a Bagheria, si era registrato il duplice omicidio di Cosimo Manzella, di 47 anni, e Michelangelo Amato, di 25. Erano entrambi di Casteldaccia. E sempre ad agosto era stato ucciso Gregorio Marchese, di 38 anni, eliminato in una villa di Casteldaccia. Due giorni dopo, sempre a Casteldaccia, erano caduti due fratelli, eliminati a pochi passi dalla caserma dei carabinieri. Era stata una sorta di segnale-sfida agli uomini dell’arma. Come dire che i morti ammazzati glieli portavano sin sotto casa. Dodici ore dopo, ma questa volta a Villabate, alle porte di Palermo, erano stati uccisi Salvatore e Pietro Di Peri. Un anno e mezzo prima, da Casteldaccia, era scomparso dalla circolazione il boss Piddu Panno.
Ma negli anni Ottanta si continua a parlare del cosiddetto triangolo della morte. Il 28 settembre del 1987, alle porte di Bagheria cade massacrato dai proiettili il palermitano Mario Prestifilippo, di 29 anni. Era ritenuto un sicario della cosca dei Greco della borgata palermitana di Ciaculli. A dare l’ordine di eliminare il giovane sarebbero stati i boss corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ma non finisce qui. Il 23 novembre del 1988, a Bagheria, le armi da fuoco tornano a tuonare per uccidere la madre, la sorella e la zia del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia. Le vittime sono Leonarda Cosentino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Cosentino. L’agguato scatta di sera, in via Vallone De Spuches. Una scia di sangue infinita, che adesso si vuole esorcizzare con un’altra marcia antimafia.
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26 Febbraio 2013, 17:44