19 Luglio 2020, 06:20
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PALERMO– Tony Gentile – fotografo per sempre – è il nostro sguardo puntato sul dolore che riuscimmo a trasformare in speranza. Per questo, anche se il caffè al bar è buono, fa male sentirgli dire: “Sì, quella foto ha segnato un’epoca e l’ho scattata io. Ma con il giornalismo ho chiuso”.
Quella foto in cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono chini, l’uno verso l’altro, qualche giorno prima che si aprisse la sanguinaria estate delle stragi. Possiamo raccontarla perfino senza averla davanti. Il dottore Falcone sussurra qualcosa all’orecchio del dottore Borsellino. Un momento intimo di felicità con i sorrisi intrecciati, dopo sarebbe scesa la notte del tritolo che avrebbe provocato la ribellione di un popolo ferito a morte.
Come andò, Tony? “Un’occasione pubblica con Giuseppe Ayala, pm del maxi-processo, che era entrato in politica. Non sappiamo cosa si dissero, forse ridacchiavano del ritardo del dottore Falcone. In quei giorni, un ragazzo come me non era solo un fotografo, era immerso nel clima del tempo. Andavi a fotografare Falcone e Borsellino, ma non tornavi a casa, seguivi l’intera iniziativa, perché erano persone che sapevano farsi ascoltare e tutti immaginavamo quanto fosse difficile la loro missione. Io ero timidissimo, non riuscivo ad avvicinarmi mai. C’ero pure quando Palo Borsellino tenne la sua testimonianza davanti alla città nell’atrio della biblioteca comunale, il suo testamento spirituale. Fu un’esperienza molto emozionante”.
E’ la mattina del Festino. Il caffè è buonissimo. Ci sono nuvoloni in cielo, ma nessuno di noi può prevedere che, tra poco, la circonvallazione sarà devastata dalla pioggia. “Sai – racconta Toni – una volta ho portato le foto di suo fratello a Rita Borsellino, in farmacia. Non lo dimenticherò mai. Ha fatto il giro del bancone e mi ha abbracciato. Se ci penso…”. Due gocce spuntano negli occhi chiari dello sguardo di tutti. Non è vero che sia necessario il cinismo per raccontare il dolore. Anzi, è proprio il contrario.
Tony Gentile è disoccupato da un po’ – racconta -, cerca nuovi progetti, e apprenderlo solleva la polvere dell’incredulità, visto che si tratta di uno dei più bravi professionisti in circolazione, a prescindere da quella foto e non prescindendo da quella foto. E ha dato appuntamento pubblico sotto il murales che ritrae la sua fotografia alla Cala per raccontare le ragioni di una rivendicazione che non è personale. Accadrà domani alle 10.30 e sarà una scoperta necessaria.
Nel frattempo, risponde a una domanda: “Perché quell’immagine è diventata un’icona? Credo, con la massima umiltà, che abbia fissato un attimo eterno, qualcosa in cui ci riconosciamo, che comunica tanto. Lo smarrimento, l’umanità e una complicità che sarebbe stata spezzata dai carnefici del ’92”.
Tony, per essere l’uomo e il professionista che è, ha rinunciato ad altre e più comode strade. Ma non se ne pente. E non se ne pentirà mai. “Ho cercato di narrare gli eventi con la mia macchina fotografica. Ho girato il mondo. Ho conosciuto tantissime persone. Non me ne pento, è vero, ma ho chiuso, perché non è più possibile affrontare il mio lavoro con serenità. Ne parlerò per esteso, domani, alla Cala”. Una risata amara sotto il cielo coperto di nuvole. Anche il buonissimo caffè, adesso, sa di sale.
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19 Luglio 2020, 06:20