Quote rosa, politica, famiglia | Le deputate siciliane si dividono

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31 Marzo 2019, 14:37

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Donne che fanno politica tra difficoltà e opportunità. Quote rosa e Family day. All’Ars il fronte femminile si divide: deputate regionali grilline da un lato e il resto delle parlamentari dall’altro lato. A far venire fuori le divisioni, è stato il voto di questa settimana sulla norma che avrebbe istituito l’obbligo di una riserva minima del 40 per cento per le donne nelle giunte comunali. Norma che è stata cassata con il voto compatto del gruppo del Movimento 5 stelle e di parte della maggioranza (e forse di qualche deputato del Pd).

In termini assoluti, alle parlamentari siciliane le quote rosa non piacciono, ma tutte le donne che fanno politica in Sicilia, tranne le pentastellate appunto, lottano per averle. “Quote rosa? Non mi strappo le vesti”, “non mi piacciono molto le quote rosa”, “le quote rosa appartengono a un tipo di femminismo che non mi rappresenta”. E via così, con diverse declinazioni di questo semplice concetto, per giungere poi ai vari “servono”, “sono necessarie”, “magari per un limitato periodo di tempo, ma non se ne può fare a meno”.

“Noi siamo la dimostrazione vivente che non servono aiutini per portare più donne nei luoghi della rappresentanza – commenta la deputata regionale pentastellata Valentina Palmeri –. Il problema che impedisce alle donne di esprimersi è la democrazia interna dei partiti tradizionali, dove prevalgono le scelte delle segreterie politiche”.

Per il resto, nel nostro viaggio tra le donne di Palazzo dei Normanni il pensiero sulle quote rosa invece è per lo più unanime. “La difesa delle quota rosa – dice la capogruppo dell’Udc all’Ars, Eleonora Lo Curto – non mi appartiene, ma le donne non sono funzionali alla riproduzione del sistema di potere che gli uomini gestiscono e quindi le quote rosa sono attualmente imprescindibili per cautelare la presenza del genere femminile nelle istituzioni”. “Il sistema delle quote può non piacere – dice Rossana Cannata, di Forza Italia – ma finché non c’è una cultura per la quale la parità di genere sia la normalità, occorrono strumenti per accelerare questo processo di modificazione culturale. L’emendamento sulla rappresentanza al 40% nelle giunte comunali, che è stato  bocciato dall’Aula, avrebbe garantito una rappresentanza femminile minima che prescinde dalle scelte partitiche di reclutamento, di nominare, candidare o meno una donna. È questo il pensiero corretto che avrebbero dovuto adottare tutti, promuovendo l’emendamento in questione”.

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“Il nostro era un segnale – spiega l’assessore regionale per le Autonomie locali Bernardette Grasso, deputato di Forza Italia. – Poiché per le donne avere un posto in giunta è più complicato, volevamo offrire una possibilità in più”. “Quando ero assessore – racconta Luisa Lantieri, parlamentare regionale del Pd – mi chiamavano molte consigliere comunali per lamentare che i sindaci dei loro comuni avevano scelto giunte tutte al maschile e io non potevo fare nulla. Non trasgredivano alcuna legge. Non dovrebbe esserci una legge ma attualmente evidentemente è necessaria”.

E la prossima battaglia che all’Ars vedrà le donne combattere contro gli uomini è già nota: sarà quella per cassare il disegno di legge che vuole abolire la doppia preferenza di genere per le elezioni amministrative. “Se la norma arriva in Aula – dice Giusi Savarino, di Diventerà bellissima – passa, perché la proposta arriva da una parte della maggioranza e può contare sul voto compatto dei 5 Stelle. Quindi, quello che stiamo facendo è tenerla bloccata in Commissione Affari istituzionali. Non sono femminista, ma le quote rosa sono l’unico modo per costringere i partiti a trovare degli spazi per le donne. Magari norme sul genere serviranno per un tempo limitato ma intanto servono”. “Servono per aumentare la rappresentatività delle donne – aggiunge Marianna Caronia, del Gruppo Misto – Se non ci fosse stata la doppia preferenza di genere non ci sarebbero così tante donne nei consigli comunali. La nostra prossima mossa sarà un ddl, che vogliamo presentare di iniziativa popolare e appoggiato trasversalmente, per obbligare al rispetto di quote rosa nella composizione delle giunte e per le elezioni regionali”. Ad appoggiare il progetto anche Elvira Amata, deputato regionale di Fratelli d’Italia: “Fino a oggi – dice – tutto quello che ho avuto me lo sono conquistata da sola, ma ho sempre dovuto combattere contro un radicato maschilismo nelle Istituzioni. Quindi ben vengano iniziative che possano lasciare più spazio alle donne”. E anche in questo caso il Movimento 5 stelle starà dall’altro lato della barricata: “Siamo contrari anche alla doppia preferenza di genere – spiega Palmeri – perché ci sono altri criteri per scegliere una donna: capacità, aspirazioni, preparazione. Il nostro è tutto fuorché un approccio maschilista”.

E mentre a Verona si chiudono, tra polemiche e divisioni nel fronte giallo-verde, le manifestazioni per il Family Day, le parlamentari siciliane si trovano tutte compatte a chiedere “politiche attive per la famiglia e per le donne”. Tutto il resto viene etichettato come “esaltazione mediatica poco utile”. Una prima risposta a questa esigenza arriva proprio dall’unica donna rimasta nella giunta del presidente della Regione Nello Musumeci: “A breve – dice Bernardette Grasso – coinvolgerò l’assessore Scavone (Antonio Scavone, assessore per la Famiglia, ndr) nella sottoscrizione di un protocollo d’intesa con il Trentino Alto Adige per mutuare il loro sistema di agevolazioni per le famiglie, e in particolare per le famiglie numerose. Un segnale di civiltà perché le donne, le madri di famiglia, devono essere messe nelle condizioni di esprimersi e di impegnarsi attivamente in politica se lo desiderano”. Il primo incontro, con tutti i sindaci siciliani, sarà convocato già l’8 maggio, per sensibilizzarli sul tema e non è escluso che si istituisca un sistema di premialità per i comuni che si impegnano attivamente nel sostegno alle famiglie.

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31 Marzo 2019, 14:37

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