Fausto Raciti | e i dolori del giovane segretario

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10 Ottobre 2015, 15:40

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Minuto, viso gentile e modi da bravo ragazzo, non fosse per la barba sembrerebbe un ginnasiale. Almeno finché non parla di politica, quando tutto pare fuorché un giovincello. Prima di diventare il segretario ragazzino del Pd siciliano il suo nome non diceva molto ai non addetti ai lavori. Ma Fausto Raciti con la politica è un tutt’uno da lungo tempo, malgrado i suoi trentuno anni.

Allattato a dalemismo, il giovane acese divenne segretario nazionale dei Giovani democratici nel 2008, carica che mantenne fin quando Pierluigi Bersani non lo piazzò nelle liste bloccate senza passare per le primarie, spedendolo alla Camera dei deputati a soli 29 anni. Ed è dagli scranni di Montecitorio che quella sagoma di Mirello Crisafulli lo ha pescato per candidarlo in un incosnueto asse con Davide Faraone alla segreteria regionale del Pd, in un congresso quasi unitario (solo Giuseppe Lupo e i suoi a far da controcanto) che vide convergere sul nome di Raciti un’ammucchiata di nemici giurati. E lì, per il giovane turco Fausto sono cominciati i guai.

E sì, perché Raciti, che la politica l’ha fatta soprattutto a Roma, ha il gusto di quella politica alta (o politicante, per i detrattori), quelle delle strategie, delle convergenze parallele, dei grandi scenari. Ma gli è finita come quegli ufficiali freschi d’accademia che nei film americani si ritrovano catapultati nell’inferno del Vietnam, dove uno sporco sergente ne sa sempre più di loro.

E suo malgrado gli è toccato confrontarsi con le intemperanze umorali di Saro Crocetta da Gela, le astuzie di Palazzo dei due sempreverdi duellanti Lupo e Cracolici, gli arruolamenti di massa di quella vecchia volpe di Cardinale (che a Raciti non va proprio giù), le disavventure del suo principale sponsor al congresso, il già impresentabile (da incensurato) Mirello Crisafulli. E poi gli ingressi di transfughi, le beghe locali (costate qualche figuraccia di troppo alle amministrative), le faide tra correnti.

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È un duro lavoro quello del segretario del Pd (e lo sa bene il suo precedessore), ma qualcuno deve pur farlo. Il giovine Fausto ci prova a modo suo. Sobbarcandosi il peso di vertici, riunioni e interminabili conversazioni. Con personalità, come quando, segretario da poco, gestì la rissa nel suo partito per le Europee, sfidando l’alleanza del momento (quella tra Faraone e Crocetta, ora acerrimi nemici) e tirando fuori dal cilindro la candidatura vincente di Caterina Chinnici. O come quando, prima di altri, attaccò apertamente il cerchio magico crocettiano (anticipando quello che divenne un suo refrain).

Accanto a lui da un pezzo vuole sempre Antonello Cracolici. Chi non gli è troppo amico dice che il rosso capogruppo gli fa quasi da tutore. E che quando Raciti fa di testa sua senza ascoltarlo troppo di solito la imbrocca. Di certo, l’asse col Crac è solido. C’è anche un legame generazionale con Faraone, costruito soprattutto sulla base del patto tra i reciproci referenti romani, due Mattei. E cioè il presidente del partito Orfini, grande amico del Fausto (e suo testimone di nozze), e il premier Renzi. Quella con Faraone non è esattamente un’intesa ma un dialogo costante. Con qualche divergenza. Come quando in uno sciagurato blitz tra Palermo e Roma, Faraone, Crocetta e Cardinale sfornarono quel mezzo obbrobrio del Crocetta bis, lasciando fuori e a bocca asciutta Raciti e i suoi amichetti di corrente. Un pasticcio che vide per mesi mezzo Pd muoversi da forza da opposizione, fin quando gli appetiti della corrente di sinistra non furono placati con un paio di assessorati. E Crocetta non dovette accettare che non poteva fare il giamburrasca contro i partiti. “Al timone, ora siamo al timone”, sussurrava soddisfatto nel luglio scorso Raciti, quando le ultime intemperanze del governatore scemavano e le porte del governo si aprivano per la prima volta per un deputato, l’allora capogruppo dem Baldo Gucciardi. Al timone di una barca alla deriva, certo, ma pur sempre al timone.

Con il “nuovo” Crocetta oggi Raciti parla e si prepara a lavorare a un ennesimo rimpasto, che magari imbarchi in giunta qualche altro deputato. Se i renziani spingono di nuovo per farla finita con il governatore e andare al voto anticipato, Raciti (che di Crocetta è stato a lungo fustigatore) frena, parla di rilancio, cambi di passo e via discorrendo (ma se ne parla da almeno un paio d”anni) e pensa a un copione diverso per salvare il Pd dal disastro elettorale al prossimo giro.

Intanto, il segretario si prodiga per formare un patto politico stabile con Ncd, che dia un respiro nazionale alla maggioranza siciliana e ridimensioni il ruolo dei gruppi di raccolta di cambiapartito che fin qui hanno assicurato la maggioranza a Crocetta. E con i quali (soprattutto con quello di Totò Cardinale), Raciti è entrato in conflitto dopo una serie di incomprensioni alle ultime amministrative. “Se Cardinale pensava di lanciare un’opa sulla classe dirigente del Pd in Sicilia, ha fatto male i conti e gli è andata male”, disse il segretario, che diessino fino al midollo sconosce le perifrasi democristiane per ammantare le polemiche. Cardinale gli rispose a tono, e la cosa più gustosa del duello tra i due (ancora in corso) sta nella difficoltà dello scorgere la differenza anagrafica, visto che persino al cospetto dello stagionato Totò, il serio Fausto quando parla di politica fa qualche fatica ad apparire giovane.

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10 Ottobre 2015, 15:40

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