21 Novembre 2015, 14:03
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CATANIA – Il pizzo è un debito senza scadenza. Lo sa bene il figlio di un imprenditore della provincia etnea che quando alcuni anni fa decide di riavviare l’attività (fallita) del padre eredita anche la rata mensile da versare ai taglieggiatori. E, forse, se non ci fosse stata l’indagine dei carabinieri che nell’agosto del 2014 seguirono in diretta il pagamento dell’estorsione continuerebbe ad essere nella morsa del racket. Un’operazione che ha portato al rinvio a giudizio di otto persone, tra cui nomi altisonanti della cosca Santapaola-Ercolano: Vincenzo Mirenda, Laura Fortunata Guarnaccia, Vittorio Fiorenza, Antonino Varisco, Francesco (U Salaru) Arcidiacono, Salvatore Fiore, Salvatore Gurrieri e Carmelo Mirenda.
Questa mattina è arrivata la sentenza del Gup Loredana Pezzino: il processo, infatti, si è celebrato con il rito abbreviato. Condanna per tutti gli imputati, con il riconoscimento dell’aggravante di aver agito con il metodo mafioso. Sei anni e otto mesi di reclusione e 5120 euro di multa per Vincenzo Mirenda, tre anni e 5 mesi e 10 giorni di carcere e 1200 euro di multa per Laura Guarnaccia, 5 anni e 8 mesi e 20 giorni e 4000 euro di multa per Vittorio Fiorenza, 5 anni e 8 mesi e 20 gorni di reclusione e 4.400 euro di multa per Salvatore Fiore, sette anni, 7 mesi e 16 giorni di pena e una nulta di 6.600 euro per Salvatore Gurrieri. Per Franco Salaru Arcidiacono si è proceduto con un patteggiamento con una continuazione pena in virtù della condanna nel processo Fiori Bianchi. Patteggiamento della pena per Carmelo Mirenda: a casa del padre di Vincenzo fu trovata una pistola a tamburo Ruger LCR calibro 38 special. Per il pm la custodiva per conto dell’imputato estortore.
L’inchiesta giudiziaria è stata ripercorsa dal pm Antonella Barrera nel corso della requisitoria: la magistrata aveva chiesto la condanna ai diversi “taglieggiatori” che si sono susseguiti dal 1990. E’ l’estate del 2014 quando grazie a una “soffiata” i carabinieri capiscono che nella zona etnea poteva esserci un giro di estorsioni. La concentrazione degli investigatori si concentra in particolare su un imprenditore che viene messo sotto intercettazione. Nello stesso giorno (è l’8 agosto 2014) arriva una minaccia anonima: “Boohm! Vedi che la prossima volta è vera”. A quel punto il figlio contatta il padre e si mettono d’accordo per informare un certo “Enzo”. Facile per i carabinieri capire che si trattava di Vincenzo Mirenda, personaggio conosciuto a San Giovanni Galermo per la sua “vicinanza” alla cosca Santapaola. Le indagini portano a ricostruire il vincolo estorsivo tra Mirenda e l’imprenditore che versava come pizzo 3 mila euro ogni mese. Mirenda, che viene allertato della telefonata, rassicura la vittima che si sarebbe occupato lui stesso della cosa. “La prossima volta tu gli dici una coppa di champagne, ripetilo due volte. Noi abbiamo i nostri codici” assicura in una conversazione intercettata. E dalle telefonate tra padre e figlio sembra proprio che le cose sono state sistemate tra di loro. (“Abbissanu tra iddi“). Ma in realtà alla fine si capirà che Mirenda assume il ruolo sia di “aguzzino” che di “amico buono” allo scopo di “aumentare le pretese del pizzo”.
“Lo scarico del calcetto”. Era il codice per indicare che era arrivato il tempo di pagare. A fare la telefonata dal chiosco di Mirenda sarebbe stata Laura Guarnaccia. La donna ha sempre respinto di essere a conoscenza del pagamento del pizzo. La frase captata dai carabinieri fa capire agli investigatori che era arrivata la data del versamento del pizzo. E’ scattata la trappola: i carabinieri allertati da chi ascoltava in diretta le intercettazioni sono pronti a intervenire. L’imprenditore ha il tempo di consegnare la busta con quanto pattuito, pronunciare la frase “Ti do il dovuto” e guardare Mirenda contare la somma di 3 mila euro, e trovarsi circondato dai carabinieri.
A quel punto padre e figlio sono convocati in Caserma. E lì raccontano l’incubo ventennale: iniziato con Franco Salaru Arcidiacono e Franco Varisco dagli anni ’90 fino al 2009. Varisco si ripresenta quando il figlio apre la nuova attività e intasca fino al 2012. A marzo dello stesso anno arrivano Turi Fiore e Vittorio Fiorenza, sostituiti poi da Vincenzo Mirenda. La somma da versare passa da 516 euro (prima della moneta unica era un milione di lire ogni mese) a 3 mila euro. I vari estortori, dunque, si sono alternati negli anni: quando uno degli indagati finiva in carcere veniva sostituito da un altro soggetto che, senza perdere tempo, contattava la vittima.
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21 Novembre 2015, 14:03