17 Ottobre 2010, 00:12
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Nel 1972 Guccini chiudeva “La locomotiva” con questi versi: “A noi piace pensarlo ancora dietro al motore mentre fa correr via la macchina a vapore e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una locomotiva, come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia”. Raccontava una storia vera, quella del macchinista che nel luglio del 1893 si impadronì di una locomotiva “piena di signori” per dirigersi a tutta velocità verso la stazione di Bologna. Il personale tecnico della stazione deviò la corsa del mezzo su un binario morto, dove si schiantò contro una vettura vuota in sosta. Oggi Claudio Zarcone paragona il figlio Norman, morto il 14 settembre scorso dopo essersi gettato da un terrazzo della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Palermo, a quel macchinista che stanco delle ingiustizie del mondo volle fare un gesto plateale, estremo.
Norman, 27 anni, si è tolto la vita gettandosi da quell’edificio dove aveva trascorso molto tempo prima come studente e poi come dottorando. Un edificio che ha fatto da scenario ai tanti successi, alle due lauree (la prima in filosofia della conoscenza e della comunicazione e la seconda in filosofia e storia delle idee) , ma anche a tante amarezze come la consapevolezza, più volte ammessa, delle difficoltà di accedere alla carriera accademica .
“Mio figlio – spiega Zarcone – non era un ragazzo depresso, il suo è stato un gesto simbolico. Gli amici lo chiamavano ‘zuzzurellone’, era il primo a scherzare, a ridere, a passare le serate suonando la chitarra con i ragazzi della sua comitiva. Era come se il carattere solare bilanciasse la serietà e la solennità dei suoi studi”.
Proprio allo studio, alla conoscenza, aveva deciso di dedicarsi. “Avrebbe conseguito il dottorato a dicembre – prosegue il padre – il suo professore mi ha restituito la tesi che Norman stava preparando, mancavo solo due pagine. L’aveva praticamente ultimata. Credeva molto in quello che faceva. Prima di iniziare il dottorato si era iscritto alla facoltà di Fisica e aveva già dato il primo esame: analisi matematica ottenendo 28 al primo tentativo. Amava studiare, conoscere, aveva una forte etica dello studio e del lavoro. Con il passare del tempo però aveva iniziato a vedere anche ciò che non andava, a capire che per proseguire si deve essere ‘schierati’, fare parte di un determinato ambiente. Non gli hanno permesso di dimostrare quanto valeva, gli hanno sottratto il suo sogno”.
Norman pensava a una carriera nell’ateneo ma era consapevole delle mille difficoltà: “Voleva farcela da solo, non mi ha mai chiesto aiuto e ha sempre minimizzato i problemi – racconta ancora il padre -. Era sempre pronto ad ascoltare e aiutare gli altri, forse però non ha trovato chi ascoltasse lui”.
“Era turbato – aggiunge – dalle ipocrisie universitarie, si è sentito isolato e non ha avuto la forza di chiedere aiuto. Mio figlio soffriva di vertigini però quel giorno è salito in alto, si è fatto offrire una sigaretta e con le spalle all’esterno, senza guardare, è andato giù… Poco dopo la tragedia ho usato l’espressione ‘omicidio di Stato’ e continuo a usarla – . C’è poca meritocrazia, in molte facoltà si ripetono sempre gli stessi cognomi e questo toglie speranza ai ragazzi che studiano e cercano di farsi strada con il loro impegno. Norman era una ‘testa libera’ e per loro c’è poco spazio. Prima di morire ha scritto a un amico: ‘Compare, la libertà di pensiero è anche la libertà di morire’… Credeva nella libertà dell’uomo, così deve essere visto il suo gesto”.
“A un mese dalla sua scomparsa – aggiunge Zarcone – resta il dolore e la volontà di portare avanti la memoria di Norman. Chi critica lo spazio dato a mio figlio, non capisce e non ha alcun rispetto del dolore. Mio figlio non cercava la celebrità, non era un ‘bamboccione’ e non si parla di lui come protagonista di un reality. Mio figlio lavorava e studiava, non ambiva a un posto ben pagato e poco impegnativo, ma un assegno da ricercatore dopo anni di studio”.
Per ricordare Norman amici, familiari e rappresentanti dell’Università hanno organizzato nella sede del Rettorato la serata “Il mistero della libertà – Tutti insieme per Norman”. E’ stato proiettato un video diviso in due parti. La prima dedicata ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per i quali Norman e il padre avevano composto la canzone “Un cielo senza stelle” (cantata dalla madre Giusy), e un seconda parte con immagini di Norman nella vita di ogni giorno.
I familiari hanno inoltre donato all’ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito 480 tra volumi e videocassette, messe a disposizione dei ricercatori per i loro studi. “Ci saranno altre iniziative in memoria di Norman – spiega il padre –. Mi auguro poi che diventi realtà l’idea di una fondazione per artisti dedicata a mio figlio. La immagino come un ‘rifugio per cervelli’: filosofi, musicisti, intellettuali liberi. Spero che la promessa del rettore diventi realtà, con il dottorato alla memoria e un’aula della facoltà di Lettere intitolata a mio figlio. Vorrei fossero iniziative condivise e che leggere il suo nome su una porta possa servire a tutti come monito perché altri non vivano quello che ha vissuto Norman”.
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17 Ottobre 2010, 00:12