“Rapinatori o killer di mafia” | Giallo sul commando di piazza Lolli

di

21 Marzo 2014, 06:15

2 min di lettura

PALERMO – Due uomini armati. Alle sette di sera. In pieno centro. A pochi giorni da un omicidio di mafia. I contorni del giallo ci sono tutti. Come la paura che l’assassinio di Giuseppe Di Giacomo sia l’inizio di una guerra. Gli investigatori ci vanno cauti. Continuano a privilegiare l’ipotesi che il delitto della Zisa sia stata un’operazione, tanto chirurgica quanto plateale, per eliminare uno che aveva approfittato del vuoto di potere per accreditarsi come il nuovo reggente di Porta Nuova. Il fermo di Fabio Pispicia e Sergio Giacalone di certo complica le indagini. Si trovavano in piazza Lolli a bordo di una vecchia Fiat Uno verde, con due pistole – una 7,65 e una calibro 38 – per mettere a segno una rapina o per uccidere qualcuno? E chi?

Gli investigatori non si sbilanciano. Innanzitutto le armi, detenute clandestinamente, saranno comparate con tutte quelle che hanno sparato e ucciso negli ultimi tempi. I due stamani saranno interrogati dal giudice per le indagini preliminari che deciderà se convalidare o meno il fermo. Per il momento rispondono solo della detenzione illegale delle armi. Pispicia – fratello di Salvatore, boss di Porta Nuova condannato nel processo Gotha e cognato di Tommaso Lo Presti, uno degli scarcerati eccellenti del mandamento mafioso – ha qualche piccolo precedente per spaccio e consumo di stupefacenti, ma anche per ricettazione.

Articoli Correlati

Un ritratto che, secondo alcuni investigatori, lo allontanerebbe dall’identikit del killer di mafia. Giacalone risulta addirittura incensurato. C’è un dato, però. Cosa ci facevano in piazza Lolli con armi, passamontagna e guanti? Un’attrezzatura che sembra spropositata per chi ha in programma di mettere a segno una rapina. Impossibile per i carabinieri che indagano sull’omicidio e i poliziotti che hanno fermato Pispicia e Giacalone non collegare quanto accaduto al delitto della Zisa.

Se davvero c’è un collegamento resta da capire perché i due fermati sarebbero dovuti entrare in azione. Per completare un lavoro iniziato con l’uccisione di Di Giacomo oppure per vendicare la morte di quest’ultimo? Se reggesse questa seconda ipotesi si aprirebbe, e in Procura lo ammettono a denti stretti, uno scenario inquietante. Qualcuno avrebbe freddato Di Giacomo senza autorizzazione. Qualcuno in grado di mandare in frantumi gli equilibri già precari del mandamento che dal novembre scorso, dal giorno dell’arresto di Alessandro D’Ambrogio, era rimasto senza un capo. Un vuoto di potere che Di Giacomo avrebbe tentato di ricoprire, con o senza l’autorizzazione, di chi sta in carcere e di chi il carcere se l’è lasciato alle spalle.

Pubblicato il

21 Marzo 2014, 06:15

Condividi sui social