03 Marzo 2014, 06:07
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CATANIA – Se negli anni ’90, a Catania, si tremava per il sangue degli omicidi. Sono state le rapine, dopo il 2007, il terrore dei catanesi. Commando armati assalivano gioiellerie, banche, negozi e tir con bottini di migliaia di euro. Nessuna pietà da parte dei rapinatori: si sparava quando era necessario e i dipendenti erano legati e imbavagliati. Messo a segno il colpo, i contanti e i preziosi trafugati erano impiegati per rimpinguare le casse del Clan dei Carateddi. Sebastiano “Ianu” Lo Giudice e i suoi “scagnozzi”, infatti, erano usciti dal carcere e servivano soldi per riorganizzare gli affari. Denaro facile da recuperare per pagare l’approvvigionamento di droga. E’ chiara il Gup Giuliana Sammartino nelle motivazioni della sentenza di primo grado: “Lo scopo era di finanziare l’organizzazione mafiosa della famiglia Cappello- Bonaccorsi”.
Per alcune di queste rapine commesse tra il 2007 e il 2008 sono stati condannati in appello, nella parte che si celebra con il rito abbreviato, Sebastiano Lo Giudice, Attilio Bellia e Agatino Zappalà. La prima sezione penale della Corte d’Appello ha assolto i tre imputati con la formula “per non aver commesso il fatto” per il tentato omicidio di due commercianti cinesi feriti il 31 dicembre del 2007, durante l’assalto al loro negozio d’abbigliamento in via Plebiscito, e per la tentata rapina stessa. Reati questi per cui, invece, li aveva condannati il Gup Giuliana Sammartino il 13 novembre del 2012. Il Presidente Mignemi ha così disposto un abbassamento delle pene rispetto al primo grado. Per Lo Giudice la condanna è di 8 anni, 8 mesi in meno rispetto alla decisione del Gup. Pochi mesi di differenza anche per Zappalà a cui è stata inflitta una pena di 5 anni e 9 mesi, 3 anni e 6 mesi, invece, per Bellia.
A rappresentare l’accusa nel processo il Procuratore Generale, Giulio Toscano. La sentenza del presidente Mignemi della Corte d’Appello lascia soddisfatti i difensori di Sebastiano Lo Giudice. “Sarà fondamentale leggere le motivazioni – commentano gli avvocati Luca Blasi e Licinio La Terra Albanella – per comprendere bene i motivi che hanno indotto la Corte, accogliendo integralmente le tesi difensive, ad assolvere il nostro assistito da un reato così grave la cui accusa poggiava sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, coimputati nonché rei confessi”. Imputati in questo processo, nella parte che si celebra con il rito abbreviato, anche il collaboratore di giustizia Natale Cavallaro, dalle cui dichiarazioni è scattata l’indagine della Squadra Mobile, e Giuseppe Musumeci che ha rinunciato il giorno della sentenza ai motivi d’appello. Per lui la condanna in primo grado è stata di 4 anni e 8 mesi.
Per le medesime accuse è in corso il dibattimento del processo ordinario, ancora al primo grado di giudizio. Alla sbarra ci sono Antonino Gianluca Stuppia, Salvatore Bonaccorsi, Orazio Musumeci, Daniele Musumeci, Grazia Diolosà, Vincenzo Battiato, Maurizio Carcione, Antonino Oscini, Salvatore Di Mauro, Orazio Cunsolo, Angelo Ragonese , Massimo Vinciguerra. Le contestazioni del pm sono diverse ipotesi di rapina aggravata, tentato omicidio, violazione delle norme sulle armi e sulla sorveglianza speciale. A giudizio anche tre collaboratori di giustizia Salvatore Fiorentino, Gaetano Musumeci e Giuseppa Germano.
L’inchiesta da cui scaturiscono i due processi culmina con l’ordinanza eseguita dalla Squadra Mobile il 15 novembre del 2011: 13 delle misure sono state notificate in carcere. A gennaio del 2012 la Procura chiede il rinvio a giudizio. Sette sono le rapine su cui viene fatta luce e, tra queste, c’è il colpo al negozio di cinesi di via Plebiscio finito nel sangue la sera di San Silvestro del 2007. Di questa tentata rapina – leggendo le motivazioni di primo grado- ne parlano tre collaboratori di giustizia. Mentre Cavallaro e Musumeci ne parlano “de relato”, cioè per racconto di persone terze, Fiorentino ne spiega i dettagli in quanto componente del commando armato.
“Altra rapina con una sparatoria fu effettuata in via plebiscito – è trascritto nel verbale – a un negozio di abbigliamento di alcuni cinesi nell’occasione ci fu una colluttazione con i commercianti cinesi che reagirono alla rapina ed uno degli stessi fu colpito al braccio o al petto. Alla rapina presero parte Bonaccorsi Salvuccio che era armato con una 7,65, Zappala Agatino, Musumeci Orazio che entrarono nel negozio mentre io, Lo Giudice Sebastiano, Gaetano Musumeci ed Attilio Bellia aspettavamo fuori sui motorini ma eravamo tutti armati in particolare io avevo una 367 ed il Lo Giudice una calibro 38 inoltre il Musumeci Gaetano aveva una vecchia pistola militare. Allorché il cinese reagì alla rapina io e Lo Giudice posammo i motorini , in particolare il Lo Giudice stava entrando per uccidere il cinese, però a sparargli fu Bonaccorsi Salvuccio che gli sparò con una pistola 7,65 mentre stava per allontanarsi“.
Gli imputati sono stati processati per altre sei rapine. La prima è datata 12 settembre 2007 in un magazzino di stoccaggio della zona industriale, la seconda riguarda l’assalto a un tir del 20 dicembre dello stesso anno. Ma erano le gioiellerie di Via Garibaldi il bersaglio più “gettonato” dalla squadra di Lo Giudice. Sono tre quelle inserite negli atti del procedimento: il 5 dicembre 2007 un colpo frutta un bottino da 6 mila euro, il 27 dicembre nel sacco preziosi del valore di 80 mila euro, 40 mila euro invece quanto agguantato il 23 gennaio 2008. La seconda rapina ha un retroscena da “cavallo di ritorno”, per usare il gergo degli inquirenti. Il gioielliere di Via Garibaldi, infatti, non era altro che conoscente di Giovanni Colombrita, altro uomo di spicco del Clan Cappello Bonaccorsi. Alla corte di Sebastiano Lo Giudice quindi si sono presentati – a detta dei collaboratori – un certo Saru Litteri per chiedere la restituzione dei gioielli. Lo scambio è avvenuto dietro pagamento di 30 mila euro.
Ipotesi, questa, che collima perfettamente con quanto racconta Vincenzo Pettinati ai magistrati: “Due fratelli, uno dei quali di nome Gino, si rivolsero al Colombrita dicendo che alcuni affiliati del gruppo dei ” Carateddi ” avevano fatto una rapina ad una gioielleria vicino al Duomo di Catania e gli chiesero di intercedere con Iano Lo Giudice “u Carateddu” perfar restituire l’oro dietro pagamento di una somma di denaro. Io, Turi Malavita, Giovanni Colombrita, Rosario Litteri, Sebastiano Lo Giudice, Vincenzo Fiorentino e Tonino La Guzzi ci incontrammo a S. Cristoforo e chiedemmo a Lo Giudice di restituire l’oro. Lo Giudice rispose che voleva 30.000 Euro, e così dopo qualche giorno il gioielliere fece pervenire il denaro ed i gioielli furono restituiti“.
Il gruppo di Ianu U Carateddu non si è fermato alla provincia di Catania. Il 4 gennaio 2008 è stato svuotato di 155 mila euro il caveau della Banca Antonveneta di Avola, nel siracusano. Giornata dell’orrore per i dipendenti dell’istituto di credito che sono stati “legati con nastro da imballaggio e – come racconta Fiorentino- chiusi in bagno”. Un vero e proprio sequestro di persona mentre i malviventi mettevano in saccoccia tutto il contante presente nelle casse. Tra i rapinatori il collaboratore Cavallaro che ha spiegato come hanno fatto irruzione in banca e anche come è stato spartito il bottino. “Siamo entrati – ha dichiarato – attraverso un buco che era stato fatto fare in precedenza da una persona contattata da Musumeci Daniele. All’esterno c’erano Lo Giudice Sebastiano con tale Graziella di San Giorgio, Enzo Fiorentino e Bellia Attilio. In totale portammo via circa duecentomila euro. Preciso che dopo la rapina nella zona di Vaccarizzo il Lo Giudice prese contatti telefonici con Musumeci Gaetano che ci venne a prendere insieme a Giusi Germano una smart four four bianca a Vaccarizzo facendo due viaggi. Dopo questa rapina furono divisi circa 8000 o 10.000 euro a testa tra i partecipanti alla stessa mentre il resto fu tenuto dal Lo Giudice“. Particolare che dimostra ancora una volta il ruolo di “capo indiscusso” di Sebastiano Lo Giudice.
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03 Marzo 2014, 06:07