22 Agosto 2015, 06:00
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Rassegniamoci tutti, perché non è tanto la catastrofe a ucciderci, quanto la nostra stessa indifferenza. L’inerzia del sopracciglio che non si alza, che non si indigna più.
Non coltiviamo speranze, nella Sicilia che pure fu patria di eroi e di valorosi nuotatori contro la corrente. Ci accontentiamo di scorrere il catalogo dello sfacelo quotidiano e sorridiamo un poco per il sollievo, se non leggiamo il nostro nome nell’abecedario dei caduti. Ma è una soddisfazione da nulla, un’alterigia da sopravvissuti.
Rassegniamoci tutti, vasto è l’elenco dei disastri, che in mille modi si possono enumerare: in ordine alfabetico, temporale o così come vengono in mente. Unico è il filo conduttore dell’immobilità.
Rassegniamoci per il baratro dell’immigrazione. Quanti ne affogano ogni giorno? La riffa dei morti e dei morituri non prevede neanche una briciola di interesse umano. E quanti riescono, per benedizione, a salvarsi? Che fanno? Che strade prendono? Che disperazione aggiungono a un lembo di costa disperata? Nessuno ne parla seriamente. Non una voce concreta – tra i facili ardimenti di Salvini e il facilissimo belato della solidarietà che non si è mai sbracciata – affronta la tragedia dei morti e dei vivi.
Rassegniamoci tutti, sulle strade e le trazzere della Sicilia sommersa dalla munnizza che compone cumuli di scultura contemporanea. Rassegniamoci per l’orrore delle città. Lasciamo pure gli occhi a vagare sullo spettacolo della bruttezza che è diventato modica quantità di paesaggi ignobili. Attraversiamo, intorpiditi, la palude dei percolati di Palermo, dei suoi cassonetti in fiore, della sua meraviglia sfregiata a forbiciate di nonsensi urbanistici.
Rassegniamoci, perché l’autostrada della nostra indignazione è rifluita in una trazzera che ha appagato, con la ‘via dell’onestà’, il capriccio della retorica. Copione affatto nuovo: siamo esperti di tavolate con posate d’argento e più nulla da mangiare; maestri della fame eletta a straccio d’orgoglio.
Rassegniamoci, perché Re Saro regnerà fino alla fine del tempo prescritto, cavalcando il Partito del Chissenefrega e altri cavallucci desiderosi di tenerlo in sella. E’ una questione esclusivamente aritmetica e un po’ esistenziale alla Catalano (ricordate Catalano?): meglio essere poveri e malati o ricchi e in buona salute? Meglio godere di splendidi e immeritati privilegi, nella reggia della politica e dei suoi lacchè, o arrancare da sconosciuti? Solo Fabrizio Ferrandelli si è dimesso ed è stato tanto coraggioso da fare la figura dell’ingenuo. I suoi compagni di banco non schioderanno mai dagli scranni dell’Ars. Mai, anche se il prezzo dovesse essere – come senz’altro sarà – la rovina di una regione, in balia di un presidente politicamente impresentabile.
E rassegniamoci, infine, per questa nostra stinta antimafia di genitori bellissimi e sepolti, di figli coraggiosi e smarriti. Per il contrabbando continuo del nome degli eroi che ha tolto a un popolo, che pure sapeva infiammarsi di amorevole collera, l’ultimo fiammifero.
Rassegniamoci per i piloni spezzati, le frane e le trazzere scambiate per manna piovuta dal cielo. Per Saro e la sua corte di teatranti. Per l’orrenda munnizza che solo i turisti denunciano, mentre i cittadini passano oltre. Per la riffa dei vivi e dei morti. Rassegniamoci tutti, per i padri e per i figli. L’unica cosa che conta è non figurare nell’elenco dei caduti, tra le croci del bollettino di guerra. Quaggiù sopravvivere di stenti è sommo privilegio.
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22 Agosto 2015, 06:00