10 Febbraio 2021, 18:10
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CATANIA – La Cassazione ha annullato la revoca di una confisca disposta dall’ammissibilità di una istanza di revoca, ritenuta irrevocabile nel 2013, ma revocabile nel 2020. L’ultimo braccio di ferro sui beni confiscati, si gioca, sostanzialmente, su questo scioglilingua. Da un lato ci sono pubblici ministeri, giudici di primo e secondo grado, dall’altro lato gli organi giudicanti del processo per le misure di prevenzione e gli avvocati del diretto interessato: Giampiero Torrisi, Francesco Antille ed Enzo Trantino. Al centro della contesa c’è il patrimonio di Mario Giuseppe Scinardo, imprenditore condannato per concorso esterno, adesso affidato ai servizi sociali, che avrebbe costruito le sue fortune sul solco di alcune relazioni pericolosissime. Se non, addirittura, cointeressenze.
Ma dietro lo scioglilingua della revoca della confisca irrevocabile, c’è un principio, quello della stratificazione dei beni, che torna a essere messo in discussione. Quanta ricchezza ha accumulato in un determinato anno un imprenditore? E quando può dare origine, questo accumulo, al surplus, cioè a quell’elemento che apre le porte alla possibilità che un determinato investimento sia frutto di illiceità? La risposta non è semplice ed è al centro di un braccio di ferro giudiziario. Senza esclusione di colpi.
Originario del comune messinese di Capizzi, è ritenuto in contatto con il boss messinese Sebastiano Rampulla, fratello dello Zio Pietro, artificiere della strage di Capaci.
Nel 2014 arriva la confisca irrevocabile, perché nell’arco di 15 anni è stato protagonista di “un’anomala escalation patrimoniale ed imprenditoriale, ingiustificata dalla sua capacità imprenditoriale”. Scinardo, infatti, da allevatore di bestiame diventa uno degli imprenditori più importanti della Sicilia Orientale nel settore del movimento terra, dell’edilizia e delle energie alternative. Avrebbe gestito – secondo l’accusa – l’agriturismo, intestato alla moglie, di Casale Belmontino, dove si sarebbe svolto un summit mafioso tra Sebastiano Rampulla, Pietro Iudicello, Vito Rambulla, Carmelo Bisognano e Carmelo Barbagiovanni. Tra le sue frequentazioni gli inquirenti evidenziano quelle con il mafioso messinese Salvatore Pirrello. Inoltre – sempre secondo gli investigatori, avrebbe dato supporto logistico alla latitanza di Umberto Di Fazio, ora diventato collaboratore di giustizia. Questo è certificato in atti giudiziari, anche se l’imprenditore ha sempre rifiutato l’accusa di aver favorito la mafia.
Nel dicembre del 2019 la Corte d’Appello di Catania revoca la confisca e ordina la restituzione dei beni a Mario Giuseppe Scinardo. Una sentenza che crea un precedente molto discusso, sulla valutazione delle ricchezze accumulate ogni anno dai soggetti al centro di misure di prevenzione.
I giudici ritengono ammissibile una “prova” presentata dalla difesa di Scinardo: la documentazione sui contributi pubblici percepiti, che farebbe lievitare gli introiti annui.
Grazie alle nuove prove, viene ritenuta ammissibile l’istanza di revoca.
Dal 1990 al 2007, i periti rimettono in fila tutte le cifre.
Il principio di stratificazione, a questo punto vacilla. Il patrimonio di un imprenditore può essere valutato in base ai guadagni di ciascun anno, secondo il principio di stratificazione classico, ma se gli introiti vengono utilizzati l’anno successivo? Per Scinardo, secondo la sentenza del 2019, “riportando l’eventuale surplus annuale nel periodo successivo al suo verificarsi, non sussisterebbe alcuna sproporzione tra consistenza patrimoniale e capacità reddituale del nucleo familiare”. I giudici sottolineano la necessità di valutare il patrimonio nella sua “globalità”.
Il procuratore generale fa ricorso sottolinenando che “erroneamente”, la Corte avrebbe ritenuto “ammissibile” la revoca della confisca, divenuta “irrevocabile nel 2013”.
La Cassazione contesta il provvedimento della Corte d’Appello perché “per giustificare la revoca della confisca, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto puntualmente chiarire le circostanze di fatto inerenti alla provenienza della documentazione prodotta”. La Cassazione sottolinea che il tribunale aveva escluso “il carattere di novità” delle prove prodotte dai difensori di Scinardo.
Sulla stratificazione dei beni, la Cassazione sottolinea che, per l’accertamento dello squilibrio, sia necessario “un confronto incentrato sulla disponibilità delle somme impiegate nell’acquisto del singolo bene”. Per questo, viene contestata la valorizzazione “degli accantonamenti effettuati negli anni precedenti, riportando l’eventuale plusvalenza annuale nel periodo successivo al suo verificarsi”.
Bisogna – continua ancora la Cassazione – accertare la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito “con riferimento al momento in cui il bene o i beni sono entrati a far parte del patrimonio dell’interessato”.
Su queste basi, la Cassazione ha annullato con rinvio il decreto impugnato, “affinché la Corte d’Appello provveda a eliminare i vizi uniformandosi al quadro dei principi stabiliti”.
“La Corte – spiega a LiveSicilia l’avvocato Giampiero Torrisi – ci lascia ampi spazi per dimostrare la correttezza dell’operato di Scinardo e quello della stratificazione è un principio di civiltà”.
Ma attenzione, non è finita. Sui beni di Scinardo pende un’altra confisca definitiva, quella che scaturisce dal processo Iblis contro la cupola di Cosa nostra. In pratica servirà ancora tempo per capire come finirà questa vicenda. Ma il patrimonio di Scinardo, in questo momento, resta in capo all’Agenzia dei beni confiscati. Scioglilingua permettendo.
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10 Febbraio 2021, 18:10