11 Gennaio 2021, 06:02
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PALERMO – La quota del Piano recovery destinata agli investimenti per il Sud ammonta alla metà dei fondi totali? Una buona notizia, ma non può bastare. Lo dicono gli attori economici siciliani in trincea per provare a tamponare un’emorragia dilagante in tutta Italia: uno studio nazionale di Confcommercio parla di 390 mila imprese chiuse nel 2020, di cui 240 mila esclusivamente a causa dell’impatto del Covid sull’economia.
Quanto all’Isola, la Regione siciliana conserva comunque un discreto ottimismo. Il Documento di economia e finanza regionale infatti parla di un crollo del Pil di otto punti per il 2020, ma prevede anche una crescita del 7,6 per cento nel 2021, del 4,7 per il 2022 e del 3,3 per il 2023. In attesa di pronunce definitive sul Recovery fund (e soprattutto dei fatti), abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti dell’economia siciliana qual è la loro ricetta per trarre il meglio da questa opportunità unica che non può e non deve finire come il ‘gioco delle tre carte’.
Sicindustria, sulla scia di Confindustria nazionale, cerca di guardare al futuro e avvisa che spendere significherà anche dover restituire. “Partendo dal fatto che non sappiamo quale sia la cifra esatta, abbiamo scelto un approccio di metodo anziché di merito – commenta Alessandro Albanese, vicepresidente vicario degli industriali siciliani –. Prima del ‘cosa’, bisogna capire il ‘come’: per assegnare gli appalti aspetteremo decenni come adesso? La scelta dei contractor continuerà sempre a mortificare l’imprenditoria locale? Al di là delle opere importantissime da fare, si devono scegliere le modalità. Che devono essere le più controllate possibili ma al tempo stesso velocissime”, aggiunge Albanese, alludendo a “una procedura di tipo commissariale, per intenderci”.
Il vicepresidente di Sicindustria elenca le opere considerate nuova linfa vitale per l’Isola: “L’alta capacità ferroviaria più che la velocità, le infrastrutture logistiche, ma anche il ponte sullo Stretto. Sarebbe inutile potenziare il resto se non potessimo sfruttarlo fuori dalla Sicilia”. Poi “una sorta di sfida: certo preferiremmo che le spese del Recovery fund fossero nell’ambito delle aziende, ma invece invochiamo una digitalizzazione vera della Regione per snellire tutte le incombenze amministrative”.
Ma prima del piacere c’è il dovere: il vertice di Sicindustria ricorda che “fra cinque o dieci anni l’enorme debito pubblico italiano salirà sicuramente. Chi lo dovrà pagare? Ecco perché una parte compensativa del Recovery fund dovrebbe servire a colmare un po’ di quel debito. La politica pensa a prendere la medaglia ma alla fine tutto ricade sul sistema delle imprese, che è sempre fatto di persone con famiglie”.
È un fiume in piena Nico Torrisi, che parla in una tripla veste: amministratore delegato della Società aeroporto di Catania, presidente di Federalberghi Sicilia e di una società polisportiva. “Come vanno spesi i soldi del Recovery fund? Banalmente direi: bene. A partire dalla sanità, che ha visto scelte a volte anche criminose. Guardando alle infrastrutture, su strade e autostrade siamo sempre stati carenti – osserva – ma anche nel fare rete a livello tecnologico, che migliora l’internazionalizzazione e di conseguenza la produzione. Dall’altra parte però dobbiamo fare anche cose utili e immediate, senza inseguire solo l’innovazione: per esempio finanziare tutte le opere cantierabili da subito, attirando occupazione ed economia locale”.
In questo ipotetico piano, il turismo si intreccia con lo sport. “I soldi del Recovery fund li userei anche per finanziare e costruire luoghi deputati a ospitare eventi nazionali e internazionali – spiega Torrisi –. Per esempio palazzetti dello sport, da associare a programmi per togliere i ragazzi dalla strada e manifestazioni su larga scala. Non dobbiamo dimenticare le incredibili opportunità dei viaggi legati allo sport”. Quanto al turismo più ‘canonico’, il presidente di Federalberghi rileva che “in Sicilia non ci sono strutture adeguate ai congressi. Gli attrattori turistico-culturali invece ci sono e vanno valorizzati, così come la formazione di settore. Insomma in Sicilia siamo assetati di cose basilari che non abbiamo, e non vorrei ci ritrovassimo a chiedere il vino senza nemmeno avere l’acqua”.
Analogia motoristica per il presidente di Assoimpresa, Mario Attinasi: “La Ferrari non può pensare di vincere se le sue vetture hanno troppo peso addosso, e qui il Sud rischia di essere quel peso. Il governo nazionale deve capire che ci vuole un piano Marshall per la Sicilia e per tutto il Mezzogiorno: indispensabili le infrastrutture e un piano sanitario efficiente – continua – ma ci augureremmo anche un nuovo modello fiscale e una sburocratizzazione non più rimandabile”. Infine “fondamentale l’ambito del sociale, perché abbiamo l’obbligo di non lasciare indietro i più deboli.
“Sembrano pochi punti, ma sarebbero una grossa conquista – vuole precisare la guida di Assoimpresa –. Che ovviamente non può prescindere da un cambiamento culturale: bisogna che tutti si mettano in gioco per un bene comune, si deve investire non solo in beni e servizi ma anche sulle persone perbene. Magari creando accademie sulla formazione politica, perché no, ma serie e senza scopi di propaganda”.
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11 Gennaio 2021, 06:02