10 Settembre 2017, 17:07
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Con una serie di interviste che ci accompagneranno fino alle prossime elezioni regionali, abbiamo chiesto a esperti, manager, alti burocrati, esponenti della società civile, di indicare al governo che verrà le priorità sulle quali intervenire. Oggi i suggerimenti arrivano da Giacomo D’Arrigo, direttore generale dell’Agenzia nazionale per i giovani, ente nazionale che gestisce progetti per i ragazzi e si occupa di cooperazione nel settore della gioventù a livello locale, nazionale ed europeo.
PALERMO – “Per i ragazzi bisognava fare di più. E a non fare la sua parte è stata proprio la Regione siciliana”. Giacomo D’Arrigo è il direttore generale dell’Agenzia nazionale per i giovani, oltre a essere un esponente del Pd. Dal suo osservatorio, il racconto di una Sicilia che non è in grado di “convincere le migliori energie a restare. Ma ancora peggio, non è in grado di convincerli a tornare o di attrarre altre intelligenze”.
Cosa è mancato, allora, nelle politiche destinate ai giovani?
“La Regione poteva e doveva fare di più. Anche se, in questo senso, il mio approccio è un po’ diverso da quelli che da anni registro in Sicilia”.
In che senso?
“Io non penso che un presidente della Regione, ad esempio, debba occuparsi di politiche ‘giovanili’. Ma penso che debba impegnarsi in nuove opere pubbliche che indirettamente aiutino i più giovani. Penso agli interventi sulla casa, sull’occupazione e sulla mobilità…”
Intanto, un punto fermo: i giovani siciliani continuano a fuggire…
“E’ vero. Ma credo che il vero tema sia un altro. Il problema non è tanto che vadano via, ma che la Sicilia non sia in grado di attrarre. Mi spiego meglio: la società di oggi è quella del progetto Erasmus, dei voli low-cost, della moneta unica in Europa. Che i giovani quindi si spostino e che decidano di iniziare un proprio progetto di vita altrove è assolutamente normale. Quello che manca è la capacità, prima o poi, di far tornare queste persone. O di attrarne altre. Ed è grave che accada in Sicilia, che è un vero e proprio continente nel Mediterraneo”.
Ma come si fa a far tornare i giovani che hanno deciso di formarsi altrove?
“In altre esperienze alcune idee hanno prodotto ottimi risultati. Penso alla Regione Lazio che ha sperimentato il progetto ‘Torno subito’: una iniziativa che prevede incentivi per i giovani formati fuori a tornare nella Regione di appartenenza. Ma la Sicilia ha anche un altro limite…”.
Quale?
“Non possiede strumenti efficaci che consentano di ‘incrociare’ domanda e offerta di lavoro nei campi ad esempio della cultura, del turismo e dell’ambiente. Attraverso il progetto nazionale Erasmus+, ad esempio, siamo riusciti a censire i ragazzi che stanno all’estero. Perché non coinvolgerli? Perché non avvicinarli ad esempio alle più grosse imprese della Sicilia?”.
Insomma, gli strumenti ci sarebbero…
“E altri potrebbero essere attivati. Penso, ad esempio, alla possibilità di rendere obbligatoria o comunque preferenziale l’assunzione, nell’ambito dei progetti finanziati dall’Unione europea, dei giovani formati fuori dall’Isola. Con un progetto da sei milioni di euro, l’Agenzia nazionale ha finanziato circa 250 progetti, coinvolgendo oltre 15 mila giovani che si sono formati all’estero, hanno fatto esperienze, hanno ricevuto anche una certificazione. Ma adesso quei ragazzi rischiano di rimanere come all’interno di un acquario, dal quale le aziende non pescheranno mai”.
Questi interventi potrebbero consentire di riportare nell’Isola chi è andato via. Ma cosa fare per i tanti giovani che restano in Sicilia e non riescono a trovare una occupazione, né le condizioni per una buona formazione?
“Questo è un grande buco nero che va colmato. E in questo caso, a non aver fatto la propria parte in pieno è la Regione. Gli interventi che hanno avuto un impatto positivo, finora, sono stati quelli nazionali (penso Jobs act, a Garanzia giovani) o europei. La Regione invece ha fatto poco, nonostante possa contare su un ‘mercato interno’ di cinque milioni di persone. E invece, il gap enorme tra l’Isola e il Nord non è mai stato davvero colmato”.
Che giudizio si è fatto, in tema di formazione e istruzione, allora, sugli ultimi cinque anni di governo Crocetta?
“Devo dire che la partenza è stata incoraggiante. Sembrava che la Regione volesse puntare verso l’orizzonte di un vero impegno per le giovani generazioni. Poi è mancata la continuità e si è finito per non considerare più la questione giovanile una priorità”.
E adesso? Cosa si aspetta dal futuro? Quali consigli darebbe al prossimo presidente che immagino lei speri sia Fabrizio Micari, individuato anche dal ‘suo’ Pd?
“Credo che Micari, sulla base della propria esperienza, possa ristabilire le giuste priorità. Qualcuno lamenta il fatto che è poco conosciuto, ma in passato il Pd era stato criticato per il motivo opposto: ci accusavano di fare dei ‘casting’ per gli aspiranti governatori. Certo, Micari dovrà provare a portare avanti una campagna elettorale coraggiosa e all’attacco. E provare a mettere in luce le cose buone e meno buone compiute dal governo Crocetta”.
Quali sono quelle buone, secondo lei?
“Penso ad esempio al lavoro compiuto dall’assessore Alessandro Baccei che ha ridato credibilità alla Sicilia nei rapporti col Ministero dell’Economia e con Palazzo Chigi”.
Quali invece le cose da dimenticare?
“A proposito di Formazione, non credo che l’assessore Bruno Marziano passerà alla storia, né che il suo operato lascerà un segno. E penso anche all’azione di Baldo Gucciardi: la gestione della rete ospedaliera poteva essere di gran lunga migliore. Ma anche questa è una delle sfide di fronte a Micari: lui e il centrosinistra devono dire la verità ai siciliani, essere credibili rispetto a chi propone ricette irrealizzabili o vecchi schemi. Se i partiti però non comprenderanno questa necessità di mettere da parte nomi e facce del passato, anche recente, allora per il rettore la strada sarà in salita”.
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10 Settembre 2017, 17:07