08 Maggio 2016, 05:59
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CATANIA – Nessuna foto per Carmelo Reitano. L’imprenditore che ha fatto arrestare gli Assinnata di Paternò è entrato nel programma di protezione dal 2013. Vive sotto scorta con tutta la sua splendida famiglia: i genitori, la moglie e tre figli. Maria Rita è accanto a lui mentre ripercorre dodici anni di “angherie e soprusi”. Pochi giorni fa i suoi aguzzini sono stati condannati definitivamente dalla Cassazione. Pene esemplari per i mostri della mafia. Gli stessi boss di Paternò che un pomeriggio di tre anni fa lo hanno pestato in piazza Eroi D’Ungheria a Catania. Quel pestaggio ha rappresentato la svolta per Carmelo che ha deciso di denunciare tutti. “Sono l’unico imprenditore di Paternò che ha denunciato gli Assinnata” – racconta. E’ una frase che fa comprendere in quale scenario culturale e sociale si muovono i mostri della mafia, che riescono a dissetarsi della paura e a radicare il loro potere intimidatorio cementificandosi nell’omertà delle vittime.
Carmelo ha dovuto combattere con questi mostri sin da quando giovane imprenditore vince un appalto a Palagonia nel 2001. Aveva solo 24 anni all’epoca. Mai avrebbe potuto immaginare che quella gara vinta sarebbe diventata l’inizio del suo incubo. “Arrivai a Palagonia – racconta facendo un salto nel passato – e venni contattato da una persona di Palagonia e uno di Ramacca”. Quello di Ramacca era Filippo Motta, assassinato nel 2002. Volevano imporre a Reitano la cosiddetta “guardiania”. Per un po’ l’imprenditore riesce a prendere tempo, poi però arriva l’imposizione dei fornitori “amici”. “E io acconsentii” – ammette. Il prezzo del calcestruzzo però era quasi il doppio rispetto al costo del mercato, e allora Carmelo informa il fornitore che “avrei pagato tutta la fornitura, ma poi cemento non ne voglio più”. Una decisione che ha scatenato le ire del produttore che ha inviato i “picciotti” nel cantiere, in “sella” agli escavatori bloccando di fatto il lavoro degli operai. Carmelo a quel punto acconsente anche ad assumere due persone “segnalate” dai due mafiosi calatine. “A quel punto mi controllavano da dentro e cominciarono le vere richieste estorsive, 5 mila euro per ogni stato di avanzamento dei lavori”. Carmelo si rifiuta. “Nemmeno io li guadagnavo”. Il terrore si impossessa del giovane imprenditore paternese che in un momento di sconforto confida i suoi problemi a un negoziante di carburanti.
Pochi giorni dopo arriva una chiamata da quel negoziante. “Mi presentò Domenico Assinnata” – racconta. Il boss disse a Carmelo che aveva sistemato tutto e poteva andare a lavorare a Palagonia con tranquillità. Mimmo Assinnata disse a Carmelo: “I carusi i Paternò unni egghiè devono travaggiare” (I ragazzi di Paternò devono lavorare ovunque). “Completai i lavori a Palagonia senza più avere problemi”. Ma inizia il vortice di catene in cui è rimasto incastrato per oltre dieci anni. “Venivano a chiedere con molta frequenza, soprattutto nei periodi in cui c’era in carcere Salvatore Assinnata” – spiega. “Come mangi tu, anche noi abbiamo diritto di mangiare” – è una delle frasi che si è sentito dire per anni. Ad un certo punto poi comincia a pagare non solo ai referenti dei Santapaola a Paternò, ma anche all’altra famiglia della malavita locale. Una scelta che non piace a Turi Assinnata. “Nel 2006 mi hanno bruciato la macchina sotto casa per un’estorsione pagata a due famiglie. Turi Assinnata diceva che la chiesa era una” – spiega Reitano. Un anno prima in provincia di Agrigento “ho subito più di un milione di euro di danni, mi hanno bruciato tutti gli escavatori”. A colpire sono gli stiddari.
Arriviamo al 2013. Pochi mesi prima della denuncia ai carabinieri. Subisce un furto: dal magazzino spariscono i mezzi e le attrezzature. “Nonostante a dicembre avessi pagato la quota annuale, natalizia, sia a loro che al clan di Picanello”. Troppo ghiotta la questione del “cavallo di ritorno”. Gli Assinnata però negano di essere gli autori dell’azione criminale ma si propongono come “intermediari” per recuperare la refurtiva. Il prezzo pattuito è di 6000 euro. “Appena pagai la prima quota di 3 mila euro mi fecero trovare i primi due mezzi rubati. Ma non ho avuto indietro le attrezzature”. A quel punto Carmelo prende tempo, ma gli Assinnata pretendono i soldi. All’ultimo incontro Reitano impone l’ultimatum : “O mi ritornate tutto o non vi do più un euro”. Ed è in quel momento che viene fissato un altro appuntamento. Alle cinque del pomeriggio in piazza Eroi d’Ungheria. “Si sono presentati in tre e mi hanno mandato all’ospedale”. Non riesce a trattenere le lacrime Carmelo quando racconta momento per momento quei minuti in cui ha sentito pulsare nel sangue la paura. Una paura però che gli ha permesso di salvarsi.
Il racconto dell’orrore: “Quando arrivai all’appuntamento, aprì lo sportello dell’auto e appoggiai il piede a terra, a quel punto mi hanno spinto lo sportello contro la gamba e mi hanno fatto scendere. Rosario Indelicato mi ha dato uno schiaffo forte, Pietro Puglisi mi ha dato una pedata sulla pancia. Mi spingevano verso la loro macchina. Io ho cercato di evitarlo perché potevo solo immaginare cosa sarebbe successo se fossi salito in macchina con loro. Mi davano pugni in testa e alla nuca per costringermi a salire in auto. Ho iniziato a difendermi e a reagire. Sono scivolato e sono caduto, ma mi sono rialzato subito e ho iniziato a scappare. Sono riuscito a salire sul mio fuoristrada e a scappare scendendo dal Viale Mario Rapisardi verso via Armando Diaz. Loro mi hanno inseguito con una Fiat 16”. Carmelo entra nel tunnel della disperazione e chiama il 112. Il primo tentativo è andato a vuoto, ma la seconda volta “mi risposero. Appena mi hanno sentito piangere, mi hanno gridato di dire nome, cognome e quello che stava succedendo. Dissi tutto e nominai tutti in pochi secondi. Dopo pochi minuti arrivarono alcune gazzelle e gli uomini del nucleo operativo, i Lupi di Catania. Hanno visto le mie condizioni e mi hanno accompagnato in ospedale”.
A quel punto sono iniziate le denunce. “Non si può lasciare un’eredità del genere a un figlio” – afferma deciso Carmelo. Quando è entrato in caserma quella sera del 2013, la sua vita è cambiata radicalmente. “La scorta mi è stata assegnata subito”. Carmelo con gli occhi lucidi guarda la moglie e le sue parole sono una dichiarazione d’amore. “Voglio ringraziare mia moglie Maria Rita per essermi stata accanto fino ad oggi”. E i grazie sono anche per l’avvocato Enzo Faraone “il guerriero”. Per la magistratura, per il pm Andrea Bonomo, per i Gup Alessandro Ricciardolo e Oscar Biondi. Per ogni singolo carabiniere, dal semplice militare al più alto ufficiale del comando provinciale. E la sua gratitudine va anche allo Stato che lo tutela.
Carmelo Reitano poteva scegliere di andare via, cambiare nome e abitare in una località protetta. Invece ha deciso di restare. “Non è giusto che me ne vado, significherebbe darla vinta a loro. Io continuo qui nella mia terra finché Dio me lo permette”. E anzi incita chi ha vissuto il suo stesso dramma a lasciarsi questo fardello alle spalle. “Ai tanti colleghi che sono nella morsa degli Assinnata dico “liberatevi”. Lo Stato c’è e vi aiuta. Non ha senso, è schiavitù”.
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