31 Gennaio 2012, 18:52
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Uno spettacolo surreale va in scena in questi giorni a Palermo. Nel capoluogo nuovamente invaso dall’immondizia, nella città “bella e devastata” che il prefetto Latella s’è ritrovata per le mani, con una serie di bombe a orologeria innescate e pronte ad esplodere, la politica si prepara alle elezioni di primavera offrendo un’immagine di sé per lo meno sconfortante. L’impressione è quella di assistere al de profundis dei partiti, che manifestano in queste ore tutta la propria inadeguatezza.
Il centrosinistra, per esempio, dopo la disastrosa gestione della città da parte del centrodestra, dovrebbe essere pronto, lancia in resta, a incassare il credito aperto dai demeriti altrui, imboccando l’autostrada per Palazzo delle Aquile aperta da Cammarata e dal Pdl. E invece, i partiti di quel fronte politico, da settimane, anzi da mesi, si azzuffano, facendo volare stracci, insulti e anatemi, scannandosi a colpi di tatticismi di bassa lega e trucchetti, in una pantomima nella quale i problemi della città non vengono nemmeno sfiorati.
Non sta meglio il centrodestra, con un Pdl sempre più spaesato, che annuncia le primarie dando l’impressione di affrontarle con lo spirito di chi va a sedere sulla poltrona del dentista. La strada tracciata dalla riunione di partito di ieri rende più complicata la possibilità di schierare il migliore candidato che la destra poteva presentare, il rettore Roberto Lagalla, che chiedeva una coalizione larga. Un auspicio che si infrange sulle bizze di Gianfranco Miccichè, che ora parla di (ri)candidarsi a Palazzo delle Aquile, scocciato dalla poca considerazione mostrata dai “cugini” berlusconiani. In mezzo c’è un Terzo polo che a Palermo ha dato segnali di evanescenza e che lavora alla candidatura di Caterina Chinnici, un tecnico rispettabile ma che appare slegato dal territorio e lontano dalle istanze popolari.
Fin qui la cronaca. Quali ricette i partiti propongano per risolvere i disastri in cui è avviluppata la città non è dato saperlo. Al netto di poche eccezioni, non abbiamo sentito parlare di Gesip, Amia, viabilità e servizi sociali. E la sensazione desolante è che la gente non si aspetti più di sentirne parlare, che il solco che si è scavato tra la gente comune e i partiti abbia assunto ormai dimensioni abnormi. Il consenso che i sondaggi assegnano al governo Monti, malgrado la spremitura delle tasche dei soliti noti, sembra proprio voler dire: sempre meglio questo che i partiti. E anche il coagularsi delle più disparate istanze attorno alla confusa protesta dei forconi è lo specchio dell’identica sfiducia della gente comune nella capacità dei partiti a dare una qualsiasi risposta.
Gli stessi politici fanno a gara a prendere le distanze dai partiti, schivandoli come la scabbia. Marianna Caronia nel candidarsi ci ha tenuto molto a precisare che la sua era un’iniziativa fuori dal partito. Fabrizio Ferrandelli batte a coppe in continuazione sulla natura “civica” della sua candidatura. Persino Rita Borsellino, designata direttamente dalla segreteria nazionale del Pd, tiene a definirsi candidata della città. A scanso d’equivoci, quest’ondata di antipolitica non ci rallegra. La storia ci ha insegnato che questo genere di sentimento diffuso può spalancare le porte alla peggiore demagogia e al più becero e inconcludente populismo. Ma se da qualche parte si vuole ricominciare è indispensabile che la politica offra alla gente una risposta credibile alla domanda a cosa servono oggi questi partiti? Hanno ancora un senso o tra loro si distinguono solo per faide e tornaconti personali? Forse c’è ancora tempo, ma la campanella dell’ultimo giro è suonata, inascoltata.
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31 Gennaio 2012, 18:52