23 Dicembre 2020, 15:42
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È il 25 giugno 1968 quando l’Italia decide di porre fine all’esperienza dell’autoproclamata Repubblica esperantista dell’Isola delle Rose: un isolotto di acciaio costruito al largo di Rimini. Lo racconta un film di Sydney Sibilia, che è – ormai da diversi giorni – fra i più visti su Netflix. Il protagonista dell’Isola delle Rose è un brillante Elio Germano nei panni dell’ingegner Giorgio Rosa, ma intorno a lui c’è un cast di tutto rispetto. E c’è un personaggio con un ostentato accento palermitano – interpretato da Fabrizio Bentivoglio – che si ritaglia un ruolo di primo piano, interpretando una figura per certi versi poco nota. Si tratta dell’allora ministro dell’Interno Franco Restivo.
Un uomo di un altro tempo che oggi acquista una notorietà inattesa per un episodio di microstoria, forse secondario ma tutt’altro che banale. Quell’umorismo che anche gli avversari gli riconoscevano, era, e resta, la sua cifra. E spicca nei dialoghi densi di fosforo con Luca Zingaretti che interpreta l’allora presidente del Consiglio Giovanni Leone.
In realtà Franco Restivo è un notissimo politico democristiano del Dopoguerra. Classe 1911, viene da una famiglia di notabili palermitani, è avvocato e professore. A casa Restivo si masticano diritto e politica. Nipote di un alto magistrato e figlio di Empedocle Restivo, che i più giovani conoscono solo per il nome della via che collega viale Strasburgo a via Sciuti, unendo il quartiere San Lorenzo al centro di Palermo. Empedocle Restivo era anch’egli un giurista e un politico, deputato del Parlamento del Regno d’Italia nel 1913 e poi ancora nel 1924.
A vent’anni Franco si laurea, quattro anni dopo inizia a insegnare. Quindi la militanza democristiana: consigliere comunale a Palermo, poi deputato alla Costituente, dove si occuperà di indulto e amnistia. Restivo è un “convinto assertore dell’autonomia regionale”, dirà di lui il vicepresidente della Camera Lucifredi.
Passa poco tempo e decide di lasciare Roma per tornare in Sicilia. Giuseppe Alessi lo sceglie come assessore alle Finanze e agli enti locali. A distanza di un anno diventa il secondo presidente della storia della Regione Siciliana. Si torna al voto nel 1951, quando raccoglie oltre 56mila voti, quasi la metà del totale ottenuto dalla Dc a Palermo. Resterà presidente durante tutta la seconda legislatura: nessuno è stato mai in carica per più tempo di lui con i suoi 2388 giorni consecutivi alla guida della Regione, pochi in più di Rosario Nicolosi e Totò Cuffaro.
Sceglie poi di proseguire il suo percorso a Montecitorio. Sarà eletto per tre legislature in fila. Nel 1963 diventa vicepresidente della Camera, incarico che lascia nel febbraio 1966, quando Aldo Moro lo vuole come ministro dell’Agricoltura. Resterà al governo con sette differenti gabinetti. Lui, uomo vicino alla destra democristiana, rimarrà nell’esecutivo – per paradosso, ma non troppo – fino alla fine del centrosinistra. Soprattutto al Viminale, dove sbrigherà con metodi contestati da missini e comunisti la pratica Isola delle Rose, e gestirà una delle fasi più difficili per l’ordine pubblico nel nostro Paese. È il ’68 della contestazione studentesca. L’anno seguente ci sarà la bomba di piazza Fontana. Restivo sarà ministro anche del primo – brevissimo – governo Andreotti, non più agli Interni ma alla Difesa. L’ultima esperienza da membro dell’esecutivo.
Nel 1972 viene rieletto deputato. Non trova spazio al governo, ma in commissione Affari costituzionali. Il suo ultimo intervento è datato 17 luglio 1974. Si parla dell’equiparazione della Consulta nazionale a una legislatura della Repubblica. Un intervento da giurista, quale Restivo era. Morirà pochi mesi dopo – il 17 aprile del 1976 – lasciando otto figli.
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